ALLE “STANZE DELL’ARTE” DI PALAZZO FRUSCIONE “L’ALTRA DONNA” DI ANNA MARIA CESARIO

 

da Olga Marciano

Anna Maria Cesario

SALERNO – Dal 3 al 10 dicembre è in programmazione l’evento “LE STANZE DELL’ARTE – PERSONALI A PALAZZO FRUSCIONE”, con la partecipazione di diciassette artisti. L’inaugurazione è prevista per sabato 3, alle ore 19.00, con la partecipazione del Coro Pop di Salerno, diretto da Ciro Caravano e Lucia Sacco.

Abbiamo chiesto a ciascun artista di raccontarsi per presentarsi al grande pubblico e per invogliare i visitatori ad entrare nella propria stanza, spiegando loro cosa troveranno.

La seconda Artista di cui parleremo è ANNA MARIA CESARIO. Il titolo della sua personale è: L’ALTRA DONNA. Riportiamo qui di seguito le sue vibranti parole: “Mi chiamo Anna Maria Cesario, sono livornese d’origine, vivo ed opero a Pompei, dipingo con costanza e passione ormai da molti anni. Ho sempre tentato di mostrare allo spettatore una pittura sincera che, partita da un astrattismo puro, man mano ha svelato un astrattismo surreale nelle forme e colori che distendo e traspongo sulle tele con meticolosa dedizione verso un cromatismo personale mai casuale. Dipingo esclusivamente con tecnica ad olio su tela. Ho partecipato nel corso degli anni a numerosi contest artistici, vinto diversi premi, sebbene ciò, la condivisione, non sia l’unico o primario fine creativo. La maggiore soddisfazione è quella che ancora devo avere, non solo nell’arte ma nella visione che ho del concetto stesso di esistenza.

Non è semplice riuscire a spiegare il motivo per cui entrare nella mia stanza, istigare l’intromissione di terzi in un luogo personale e universale al contempo.

I lavori che ho eseguito negli ultimi anni prendono spunto da riflessioni opacamente lucide sulla mia esistenza e sull’involuzione del mio approccio alla vita a causa o grazie a stati d’animo dettati da condizionamenti esterni.

Il raggruppamento di questi lavori in macro contenitori, pur nella consapevolezza che la loro catalogazione sia solo un atto formale antitetico rispetto al loro intrinseco significato, evidenzia l’intento di dare un nome agli stimoli emotivi che hanno mosso la mia mano sulla tela. L’escissione chirurgica, l’adattamento forzato, la catarsi seguita dalla metamorfosi, l’estraneazione rispetto al contesto, il viaggio sinaptico, esprimono il tentativo di dare forma e colore a queste condizioni psicologiche.

Recitare un ruolo per troppo tempo, non riconoscersi più nella maschera indossata, asseconda probabilmente il misterioso confine tra bianco e nero, negando la possibilità di focalizzarsi su bagliori differenti da quelli che per osmosi produciamo verso gli altri.

A più riprese mi sono interrogata se fossi tra coloro che non avrebbero mai visto il colore nella sua purezza originaria, limitandomi a stringhe di luci e ombre che si accavallano tra loro fino a confondere e occultare la realtà verso la quale dovrei propendere per reciproca attrazione.

L’oscillare legati a un elastico che ci riconsegna allo stesso punto di partenza ha un unico pregio che si formalizza nello stimolo umano alla sopravvivenza attraverso l’individuazione di valvole salvifiche di libero sfogo che nel mio caso dovrebbero coincidere con la pittura.

Inconsciamente ho sempre desiderato recidere quell’elastico, bruciare la mia coscienza e sacrificarla ai lumi dell’incoscienza, riplasmarla secondo canoni che non sono parte del mio vissuto.

Eppure è stata proprio la mia esistenza inconsueta, sin dalla mia infanzia più acerba, la catena che mi ha trattenuto in un porto troppo sicuro ma lacunoso, quando avrei ardentemente desiderato naufragare in mari sconosciuti e se nel caso affogarvici.

Se ogni uomo è un caso allora ogni caso è un universo e dietro la luce più sfolgorante può celarsi un’oscurità nascosta al mondo reale. E dietro al buio o accanto a esso può diramarsi una luce in grado di accecare e distruggere quella coscienza radicata nei gangli più profondi dell’animo umano.

Alcuni eventi, soprattutto quelli che vanno ad intaccare la nostra salute, generano reazioni differenti nella personalità di chi li subisce. Talvolta sono in netto contrasto con i normali canoni evolutivi del comportamento umano rispetto a uno stesso accadimento.

Nel mio caso il recente tumore e la terapia mi hanno colto di sorpresa sparandomi nello spazio come un missile dalla cui deflagrazione è forse nata quella nuova coscienza tanto proclamata, madre di tutte le future consapevolezze, figlia del mio dolore.

Le piccole, enormi trasformazioni corporee imposte dalla cura agiscono subdolamente creando ansie, temprando lo spirito e distruggendolo al contempo, riplasmando la mente già provata, riattivando complessi ed insicurezze, rendendoci dismorfofobici ad intermittenza, incapaci di vederci al di là di difetti che percepiamo come deformità aliene al nostro essere o come doni del cielo.

Quando il sospiro diventa costante e tenace, più lungo dell’eterno, silente per chi non lo vuole ascoltare, allora bisogna fermarsi per ritrovare se stessi. Forse quel sospiro me lo porto appresso da troppo tempo, incastrato tra il bene e il male delle mie riflessioni.

Da questo recente marasma interiore hanno preso vita le mie ultime opere che forse per la prima volta rappresentano l’estensione cromatica di me stessa depurata da qualsiasi escrescenza autolesionista.”

 

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