SHOAH: quanto incise la propaganda mediatica di Leni Riefenstahl ?

 

Aldo Bianchini

La bella regista cinematografica Leni Riefenstahl che fu anche indicata come la vera amante di Hitler

SALERNO – Sono nato otto mesi dopo che le truppe sovietiche di Stalin avevano aperto i cancelli di Auschwitz-Birkenau per mostrare al mondo, forse anche senza sapere cosa stessero per mostrare, gli orrori della cosiddetta e maledetta “soluzione finale”, ovvero lo sterminio di massa in danno della razza ebraica che Hitler riteneva  inferiore a  quella ariana (questo per dirla con parole molto semplici).

C’è un personaggio (purtroppo donna) che forse incise moltissimo nell’affermazione del pensiero antisemita nell’immaginario collettivo dei tedeschi dell’epoca; si tratta della famosissima regista e fotografa tedesca Leni Riefenstahl (nata il 22.08.1902 e morta il 08.09.2003 all’età di 101 anni) che affascinata dalla potenza oratoria di Hitler aderì al nazismo fino a divenire la documentarista ufficiale dei film propagandistici del terzo Reich, come quello sulle Olimpiadi del ’36 a Berlino. Ed è proprio nella distorsione storica proposta da quel film che va ricercata la qualità e la quantità dell’opera sibillina e surreale della Riefenstahl che non magnificò il nero americano Jesse Owens (quattro medaglie d’oro) indugiando fin troppo sulla figura dell’atleta ariano Luz Long che aveva perso la finale del salto in lungo che era ritenuta la gara in cui sicuramente il tedesco avrebbe vinto l’oro; e non raccontò neppure la splendida amicizia nata tra Jesse e Luz perché per lei, come per Hitler, era inconcepibile che un ariano potesse abbracciare un uomo di colore che, oltretutto, aveva umiliato il führer costringendolo ad abbandonare lo stadio prima della premiazione che fu, invece e giustamente, strombazzata da tutti i media dell’epoca che non ricadevano sotto l’influenza nazista.

Bisogna partire da lontano e ricordare che l’ideologo vero della soluzione finale fu Martin Bormann (il segretario particolare di Hitler che dominava il capo totalmente) come ha raccontato Joseph Wulf in un libro del 1962; secondo lo scrittore il potente Bormann già nel 1933 aveva indotto i suoi sottoposti a tenere una conferenza al Consiglio degli Esperti per la politica razziale e demografica in cui si parlò dell’esistenza in Germania di più di 500mila casi di malattie ereditarie gravi, fisiche e mentali, e di un numero ancora più rilevante di malattie meno gravi; casi distribuiti tra tedeschi ariani e tedeschi di origini ebraiche. Da qui la necessità di una purificazione di carattere generale; e partirono anche vari processi che portarono alla condanna con l’eliminazione fisica di pochissimi tedeschi ariani e moltissimi di sangue ebreo. Poi lentamente la soluzione finale legittimata sulla base dei processi giudiziari (ci fu più di qualche giudice a Berlino !!) che in un certo senso avallarono nell’immaginario collettivo l’operazione di purificazione che a quel punto, nel 1943, era rivolta soltanto verso i soggetti non puramente ariani.

Del resto lo stesso Rudolf Höss (direttore di Auschwitz) pochi attimi prima di essere impiccato dagli inglesi nel piazzale del campo di sterminio, con spaventoso linguaggio, dichiarò: “”Nulla più che una banalità del male … Non ho mai odiato gli ebrei … ho solo eseguito lo sterminio di massa di corpi razzialmente e biologicamente estranei””. Facendo finta anche di indignarsi “per la bassezza morale dei sonderkommando” (i collaboratori ebrei delle SS, incaricati di portare altri ebrei nelle camere a gas).

Tutto questo fu, purtroppo, amplificato fino alla massificazione del pensiero collettivo dei tedeschi da una propaganda mediatica surrettizia e senza precedenti, sapientemente orchestrata dall’abilissima fotografa-regista Leni Riefenstahl che grazie alla sua qualifica di “regista cinematografica che racconta la storia” sopravvisse sia al regime nazista che al processo di Norimberga, per finire i suoi giorni serenamente nella sua casa di  Pöcking in Germania alla bella età di 101 anni.

 

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