Cerco un centro nucleare pemanente

 

 

da Antonio Cortese (giornalista)

 

 

Prof. Enrico Fermi

In questi ultimi anni si é parlato di risorse energetiche ed alimentazione come non accadeva dalla crisi 1973. Quella fu dovuta in verità ad un scampolo iniziale di globalizzazione con paesi arabi ad emergere, e nuove alimentazioni gas, diesel ed altri carburanti che facevano a gomitate nei mercati. L’ignoranza parziale dei media additava anche in quel caso la colpa alla guerra, così in generale, dai costi di quella vietnamita agli altri focolai afro-indonesiani ad est. Non era altro che una transizione tecnologica, delle abitudini, dai costumi stravolti dal sessantotto al consumo di massa, dall’aumento della concorrenza su scala globale fino alle crescenti transazioni e apertura dei mercati. Nel frattempo nei paesi locomotiva sono nate centrali energetiche nucleari e qualche imbecille ancora organizza cortei carnevaleschi in Italia o nelle Americhe stesse. In Inghilterra, Francia e compagnia bella niente piagnistei di bollette, che in Italia equivalgono ancora alle gabelle medioevali, caro carburante, caro trasporti, caro de qui e caro de là.: al limite si lamentano degli eccessi del re o su chi deve dare una mano di antiruggine alla torre Eiffel. Adesso gli stessi imbecilli, specie appunto nei media o meglio i politici da essi influenzati, additano i costi della crisi al gas o altre flatulenze che non c’entrano affatto con le difficoltà generali attuali. La nucleo- fobia italiana é dovuta alla presenza di zone sismiche e ampie zone sequestrate ideologicamente dagli ambientalisti: fattori che non permettono incredibilmente ancora un ponte sullo stretto siculo calabrese ad esempio.  Impianti nucleari antisismici in Italia, il paese di Enrico Fermi, sono come avere un’automobile con le ruote quadrate, con produzione efficace ogni giro.  Se la politica non trova soluzioni come ad esempio il cambio di zone e prospettiva, come gli accordi algerini per il gas ( una delle poche buone mosse del nuovo governo) non é detto che bisogni generalizzare in un calderone belligerante problemi e soluzioni, utopie o scadenze trottolanti da Brusselles.

 

Ribadire che il conflitto ucraino non é cosa nostra, tenendo presente l’articolo undici, per pensare maggiormente ai fatti nostri, in un’Italia che ha duecento anni sputati, con due conflitti persi, missioni afro-afgane piene di militari martiri ridicolizzati, dalla buon anima di Quattrocchi agli altri eroi a pagamento, potrebbe forse aiutare a focalizzare l’attenzione su noi stessi senza aspettare sempre la gonnella di mamma Europa o degli zii americani; L’Italia ha la fortuna di essere tra i primi sette paesi industrializzati, ma le altre nazioni però, bisogna sempre tener presente che hanno bandiere vecchie millenni.  Quindi  concentrarsi allo sviluppo dell’Italia si, e poi, solamente poi, dopo aver raggiunto una determinata stabiltà, identità e maturità, pensare di aiutare il prossimo paese affamato di interessi.

 

 

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