ROMA
«Dal 23 di luglio siamo scomparsi nel nulla e ci ha ritrovati cinque giorni fa un gruppo di ribelli: hanno assaltato un carcere, hanno liberato i prigionieri all’interno e hanno liberato tutti quanti, probabilmente per avere più ribelli possibili per combattere su Tripoli». È il racconto fatto al Tg1, a Tripoli, da uno dei tre italiani, probabilmente «contractor», che hanno trascorso circa un mese in carcere in Libia dopo essere stati catturati da fedeli del colonnello Gheddafi.
Durante gli interrogatori in carcere – ha aggiunto – gli uomini di Gheddafi «volevano sapere se eravamo spie, chi ci aveva mandato, chi ci pagava, cosa facevamo lì. Mi hanno preso a calci, mi hanno preso a pugni in faccia. Non so più che altro dire».
«Brutto, brutto – ha detto un altro dei tre – ci hanno messo in una stanza, poi ci hanno chiamato uno alla volta in un’altra camera. Ridendo, ci dicevano “no problem, no problem”. Mi hanno levato tutta la roba che avevo addosso, mi hanno tolto le scarpe, mi hanno legato, mi hanno bendato, la benda stretta. Noi pensavamo che ci sparassero, che ci ammazzassero». Sui compiti e la storia di Antonio Cataldo, 27 anni di Avellino, Luca Boero, 42 anni, di Genova, Vittorio Carella, 42 anni, di Peschiera Borromeo, però, è ancora buio fitto. «Ulteriori chiarimenti sulla nostra storia li daremo quando saremo rientrati in Italia, perché qui in Libia non ci sentiamo sicuro» hanno detto.