Giustizia: da tangentopoli ad Amanda, la fine di un servizio

Aldo Bianchini

La sentenza di Perugia favorevole alla Knox ed al Sollecito è soltanto la cartina di tornasole di un sistema giudiziario alla sbando. Chi grida allo scandalo è fuori strada.

Salerno – Da attento osservatore ho seguito l’evoluzione in negativo del “sistema giustizia” nel nostro Paese, evoluzione negativa che affonda le sue radici negli anni ’80 quando il legislatore, avendo fretta di tamponare l’incalzante irruenza dei PM, stravolse l’ormai antico codice Rocco e promosse il nuovo codice di procedura penale sotto la spinta del famoso referendum popolare sulla responsabilità dei giudici. Si passò, così, in maniera frettolosa e raffazzonata dal “processo inquisitorio” al “processo accusatorio”. Era il novembre del 1989 e con la virtuale illusione  (soltanto politica!!) della “parità tra le parti” e della “terzietà” del Gip i politici, primo fra tutti Bettino Craxi, spinsero oltre ogni limite il sistema lasciando stoltamente nelle mani dei soli PM un potere immenso e una disponibilità di mezzi investigativi che non ha eguali in nessuna parte del Mondo. Fu la fine cruenta di quel sistema politico e di quegli uomini politici (sempre Craxi prima di tutti!!) che vennero brutalmente decapitati dalla cosiddetta “tangentopoli” che, per certi versi, segna anche lo spartiacque tra la vecchia magistratura al servizio del Paese e la nuova magistratura come potere nel Paese. Ma la cosa più importante da segnalare, al di là delle reminiscenze social-politiche, è il fatto che negli anni ’80 in pochi mesi si passò dal “processo dibattimentale” al devastante “processo preliminare”. Quello dibattimentale (ex codice Rocco) si svolgeva tutto in aula e storicamente l’Avvocatura aveva imparato a condurlo in maniera eccellente e con distacco quasi alla pari con la Corte. Quello preliminare si svolge, purtroppo, tutto o quasi nelle stanze dei PM dove convergono gli interessi di tutti gli investigatori tranne quelli dell’indagato; ed a questo tipo di processo l’Avvocatura ancora non si è rapportata completamente in primo luogo perchè la ventilata “parità tra le parti” si è dimostrata inesistente e in secondo luogo perché la conduzione di siffatto processo richiederebbe un dispendio abnorme di risorse economiche (soldi!!) per far fronte alle illimitate possibilità dei PM. Da qui l’affermazione, quasi scontata e retorica, che chi ha più soldi è quasi sempre innocente. Questa la spiegazione, più o meno tecnica, dell’evoluzione in negativo del fenomeno giustizia che ha portato, come nel caso di Perugia, ad una sentenza soltanto apparentemente clamorosa. Bisogna dire, solo per un fugace commento alla sentenza di Perugia, che soprattutto Raffaele Sollecito (più che Amanda) ha avuto la fortuna di avere un padre “medico legale” che per centinaia di volte ha svolto il ruolo di CTU (consulente tecnico d’ufficio) per conto della Magistratura. Questo ha permesso al Sollecito, conoscitore del sistema, di correre ai ripari con opportuni (anche se tardivi per il primo grado) cambi nel collegio difensivo con l’inserimento di Giulia Bongiorno che è riuscita a scavare nei meandri degli accertamenti preliminari e ad ottenere, in sede di appello, una perizia che ha scombussolato tutto il castello accusatorio preliminare. Nell’evoluzione in negativo del sistema è importante segnalare un’altra distorsione. Gli inquirenti in genere, dalla famigerata tangentopoli, si servono del mondo dell’informazione in maniera spudorata e senza scrupoli. Da un lato gli inquirenti passano le notizie per costruire e irrobustire la loro tesi accusatoria, dall’altro il mondo dell’informazione è disposto ad accettare tutto e il contrario di tutto pur di reggere il passo con la spietata concorrenza interna ed internazionale che travolge ogni cosa. E qui finisce il processo preventivo, tutto quello che può accadere dopo, anche una sentenza che ribalta ogni cosa, sorprende, meraviglia e in qualche caso indigna perché l’immaginario collettivo ha già fatto proprio il castello accusatorio che gli è stato propinato in tutte le salse: riviste, quotidiani, talk show televisivi con gente che parla e non sa neppure di cosa sta parlando. Difficile, dunque, per un indagato poter reggere di fronte a simile schieramento, altro che parità.  Ma a tutto questo quadro poco edificante si deve aggiungere un’altra devastante realtà che nessuno denuncia apertamente. Il sistema giudiziario nostrano è inquinato da un altro pesante aspetto che è rappresentato dalla “fame di potere” di chi nel complesso del sistema è chiamato ad investigare. Tutti, dico tutti, dal più umile degli appuntati dei Carabinieri di paese, dalla guardia campestre o forestale per finire agli Ufficiali ed ai PM, hanno l’arroganza di condurre un interrogatorio e di redigere un verbale pensando di scrivere una sentenza inoppugnabile, dimenticando che le sentenze le scrivono altri, quelli che fanno i Giudici. Questo è il vero punto dolente e marcio del nostro sistema giustizia. Lo dimostra ampiamente la vicenda umana e professionale di Corrado Carnevale, giudice di Cassazione, definito “ammazzasentenze” che fu costretto ad un lungo e deviante processo prima di essere assolto dalle assurde accuse di chi, nell’ambito dello stesso sistema, lo voleva stritolare. Cambiare non sarà facile, il nostro livello culturale non è ancora all’altezza di un compito così difficile. Non mancano, ovviamente, casi di corretta giustizia come per Penati a Monza e De Magisteri a Salerno. Alla prossima.

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