L’AVIDITA’ DELLA POLITICA

Alfonso D’Alessio

E’ di queste ore la notizia secondo la quale pare che il governo Monti stia per varare un decreto legge che non contenga il famoso taglio agli stipendi dei politici.  Saranno le camere a provvedere al taglio delle indennità dei deputati e senatori, e non un decreto legge come previsto inizialmente dalla manovra. Si sostiene che tale rinvio sia una giusta correzione tesa a ricondurre nell’ambito delle rispettive competenze il governo e il parlamento. Ma senza voler cedere all’antipolitica a tutti i costi, al populismo che null’altro serve che ad esasperare gli animi più di quanto la realtà già li abbia esasperati, e che finisce per essere funzionale proprio agli interessi della “casta, viene da domandarsi se nell’eccezionalità del momento storico, non fosse stato opportuno fare di più. Per esempio si sarebbe potuto ricorrere alla tecnica, in Italia sperimentata migliaia di volte, di aggirare con cavilli, ovviamente leciti e legali, norme vigenti e nel caso in specie non funzionali all’emergenza. Ma questo avrebbe richiesto una vera volontà di cambiamento, e di vicinanza nella sostanza al popolo, e  non semplicemente nei proclami. Come allontanare dall’uomo della strada, che ogni giorno lotta per portare avanti la famiglia o soddisfare le proprie esigenze, il sospetto che oggi il denaro è pensato come debito verso il sistema bancario che ha come conseguenza l’indebitamento di tutte le componenti sociali? Debiti con le banche, con le finanziarie a volte con tassi che pur rimanendo nell’alveo della legalità si avvicinano a quelli usurari.  E’ questa la causa incontestabile di fenomeni perniciosi come la tassazione esosa, la cronica perdita del potere di acquisto dei cittadini, la perenne instabilità economica che produce una generalizzata insicurezza sociale. Tutto questo in netto contrasto con la giustizia sociale e l’equità cui continuamente ci si appella più per bandiera che per intenzione di realizzarla. In questo contesto l’avidità della politica e la difesa dei propri privilegi, lecita o meno che sia, appare del tutto fuori luogo, antistorica e pericolosissima per la quiete sociale. La politica e i suoi rappresentanti hanno il dovere di progettare e rendere possibile uno sviluppo economico sostenibile che abbia alla base un’equa condivisione dei beni. Per far questo occorre il coraggio della presa di responsabilità e la concertazione di iniziative concrete tese alla crescita. Cose che oggi appaiono latitanti dalla scena politica più propria, quella del parlamento che dovrebbe sostenere ed indirizzare il governo piuttosto che ostacolarlo con la difesa dei propri privilegi. La giustizia sociale e l’equità hanno una strettissima correlazione con la giusta distribuzione del reddito, altro che rinvii e stratagemmi conservativi. Speriamo che ci si ravveda con l’utilizzo dell’intelligenza e della lungimiranza, altrimenti il rischio è che, all’apertura degli occhi e allo smantellamento degli egoismi e dell’avidità, ci si arrivi per costrizione con tutti i corollari spiacevoli che questo comporterebbe.

 

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