La vera storia di Tangentopoli

Aldo Bianchini

SALERNO – Ricorre oggi il ventesimo anniversario dell’inizio della rivoluzione giudiziaria passata alla storia con il nome di “mani pulite” e più volgarmente con quello di “tangentopoli”. Il fenomeno nato a Milano nello studio ovattato dell’ingegnere socialista-craxiano Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, deflagrò rapidamente in tutt’Italia. Era il 17 febbraio del 1992. In pochi mesi il nostro Paese fu “rivoltato come un calzino” (così amava dire spesso il pm meneghino Gherardo Colombo) e su tutto e tutti si impose mediaticamente, e non solo, la figura e l’immagine del giovane pm Antonio Di Pietro. Dopo quella di Milano molte altre procure della repubblica portarono avanti un’azione giudiziaria senza precedenti contro i cosiddetti poteri forti: politica, imprenditoria, malavita organizzata. L’azione fu enfatizzata da quasi tutti gli organi d’informazione e su tutti fece scalpore la copertina de L’Espresso con il titolo: due, tre, cento Di Pietro. In effetti da molti anni il chiacchiericcio sulle malefatte dei politici e degli imprenditori, spesso in combutta con la malavita organizzata, era sulla bocca di tutti e il racconto di mazzette, di percentuali, di lavori pubblici pilotati, di bustarelle, di finanziamenti illeciti ai partiti, faceva il giro dei marciapiedi dell’intero Paese. A distanza di venti anni molti si chiedono a cosa servì quella pulizia etnica di una classe dirigente che, sia pure nel bene o nel male, aveva condotto l’Italia fuori dalle secche del periodo post-bellico lanciandolo attraverso il  “grande miracolo economico” tra i sette paesi più industrializzati del mondo senza avere alcuna risorsa nel sottosuolo. La risposta non è semplice, soprattutto alla luce del fatto che con la nuova classe dirigente le cose vanno decisamente peggio. Il passaggio dalla Prima alla cosiddetta Seconda Repubblica, insomma, non ha portato niente di nuovo o di meglio, al contrario c’è stato il completo scadimento della politica con una sovraesposizione degli intrighi e del malaffare che sono stati elevati a pratiche scientifiche. La tangentopoli, alla fine, non ha inciso neppure sul numero dei partiti che venti anni fa erano una quindicina, oggi che la politica ha cambiato pelle mutando in squallidi raggruppamenti personalistici che hanno superato la soglia numerica di ottanta. Oltre il settanta per cento delle inchieste giudiziarie, con punte del novanta per cento in alcuni distretti, sono finite con sentenze di assoluzione con formula piena, pochissime le condanne e poche anche le prescrizioni. Un fenomeno, quello di mani pulite, che è costato sul piano squisitamente economico una somma complessiva che supera i dieci miliardi di euro, con la incalcolabile in termini valoriali della credibilità del nostro sistema giudiziario e del nostro Paese, e con la morte di alcune decine di indagati poi assolti, particolare questo assolutamente non trascurabile. Cosa è rimasto del mitico pool mani pulite di Milano che scosse l’Italia dalle sue fondamenta? Poco o niente. Francesco Saverio Borrelli, capo della procura, si è dato all’ippica. Gerardo D’Ambrosio, Antonio Di Pietro alla politica nel centro sinistra, Tiziana Parenti (detta Titti la rossa) alla politica con Forza Italia. Gherardo Colombo alla letteratura conferenziera e Pier Camillo Davigo alla letteratura cassazionista (cioè giudice di cassazione). Sul campo sono rimasti soltanto in pochissimi, probabilmente perchè venti anni fa erano davvero giovanissimi. Tutti gli amici lettori che volessero saperne di più sia sulla tangentopoli nazionale che su quella salernitana possono semplicemente cliccare sulla rubrica “Le storie”, in alto a destra su questa prima pagina, per leggere tutta la verità, soltanto la verità, nient’altro che la verità.

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