Villani/6: Alvi-Amato, diktat alle banche !!

Aldo Bianchini

SALERNO – Avevo chiuso la puntata n.5 sul “caso Villani-Alvi” con una domanda inquietante in merito al perché di quella tremenda accusa di “bancarotta fraudolenta” senza la quale nessun provvedimento restrittivo della libertà personale poteva essere emesso a carico dell’ex presidente della Provincia Angelo Villani, dei suoi familiari e dei suoi più stretti collaboratori. Una domanda inquietante perché l’unica risposta possibile da dare è di “stampo politico”. Per chi non mastica di cose giudiziarie è difficile pensare e credere che la giustizia possa essere utilizzata per fini politici o peggio per vendette politiche, così come è ancor più assurdo pensare che la giustizia possa piegarsi ai voleri o ai precisi diktat di qualcuno. La storia giudiziaria, anche quella recente, è purtroppo piena di questi episodi brutti ed incomprensibili. E’ nel presente sotto gli occhi di tutti la diversità di trattamento che la giustizia ha riservato per il caso Villani rispetto a quello di Amato. Se nel primo caso l’imputazione di bancarotta fraudolenta sembra davvero reggersi sul nulla, nel secondo caso nessuno l’ha fatta scattare anche se sembra molto più concreta. “La giustizia è sempre giustizia anche se è fatta sempre in ritardo e, alla fine, è fatta solo per sbaglio” amava dire George Bernard Shaw. E’ vero che la giustizia è sempre giustizia ma quando arriva è sempre troppo tardi. Per il momento, nel caso Alvi-Villani ci dobbiamo accontentare delle ordinanze, dei decreti e, fra qualche tempo, della sentenza di primo grado. Ma perché un così evidente e stridente, nonché contradditorio, comportamento della giustizia tra Villani e Amato. I casi sono ancora troppo vivi e palpitanti per azzardare un giudizio storico e, quindi, oggi il giudizio può essere soltanto politico. Un giudizio che chiama in campo direttamente i rapporti che i due uomini di cui trattasi (Angelo Villani e Giuseppe Amato) hanno intrattenuto e intrattengono con la politica. Il primo, Villani, personalmente impegnato ha cercato di essere riformista e libero pensatore; il secondo, Amato, sempre defilato ha scelto l’uomo politico giusto al momento giusto. Il primo è risultato perdente, il secondo vincente. Nel primo caso è stato sufficiente un ordine tassativo (diktat !!) ad una sola banca per stendere al tappeto le residue speranze per Villani di salvare non solo l’impero economico ma anche il trono politico. Sappiamo tutti che il famigerato “accesso al credito” è l’essenza principale se non proprio l’anima per la sopravvivenza di un imprenditore, soprattutto se impegnato nel difficilissimo settore della grande distribuzione. Dal diktat all’assoluta mancanza di pietà, è stato il pepe necessario per abbattere un colosso come quello dell’Alvi con oltre mille dipendenti, le vendette politiche non possono e non debbono avere mezze misure. Anche perché nel caso Villani quest’ultimo non aveva particolari segreti da occultare ed era sceso in campo più per uno spirito di servizio che per mire di potere personale. Angelo Villani ha pagato la sua voglia di riformare la politica e gli antichi e consolidati assetti strategici, ha pagato duramente, molto al di là delle sue colpe presunte. Fortunatamente per lui che le responsabilità penali sono tutte personali altrimenti, con quanto succede oggi in Provincia, si sarebbe trovato travolto da una miriade di accuse dirette di mala-gestio. L’altro caso è completamente diverso, per Amato il problema è assolutamente legato alle fortune, tuttora consolidate, della politica che ha abbracciato anima e corpo in questi ultimi anni. Probabilmente sono troppi e tutti inquietanti i segreti (a cominciare dai francesi dell’Energy Plus !!) che è costretto a custodire e che gli hanno però garantito una sorta di “immunità giudiziaria personale” senza salvare il suo impero economico. La giusta ingiustizia che  non è stata assicurata ad Angelo Villani. Ma c’è un’ultima e non meno importante causa discriminante tra i due ex colossi dell’imprenditoria salernitana, è la causa di appartenenza alla lobbie dei “manager figli delle chiancarelle” per il primo ed alla lobbie dei “figli della casta proletaria” per il secondo. Storie di una vecchia storia che si ripete e che è sempre un alibi per tutti. Alla prossima.

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