Gambino/55: ora si aggrappano pure ai “portavoce”

Aldo Bianchini

PAGANI – Mi rendo conto che a volte, nel corso di una lunga inchiesta, è necessario ripetere concetti già espressi e pubblicizzati. E’ necessario perché il lettore medio anche se legge attentamente non ha l’obbligo di immagazzinare tutti i dati che gli vengono propinati più o meno giustamente. Le battute attuali del processo “Linea d’ombra” incardinato sul presunto “Sistema Pagani” a carico di Alberico Gambino ed altri sono state già tutte sviscerate ed analizzate, ed in qualche caso anticipate, nel corso delle tantissime puntate di questa inchiesta giornalistica. Questo a dimostrazione di un palese accanimento degli investigatori che, come ho ampiamente anticipato in passato, giorno dopo giorno vanno alla ricerca di nuovi elementi probatori a carico degli imputati, quasi tutti ancora in regime di “arresti domiciliari preventivi”; e lo fa con nuove perquisizioni, con nuove acquisizioni di atti e con nuovi interrogatori. Tutto legittimo, per carità, e tutto perfettamente in linea con l’impianto accusatorio che andava, secondo me, corredato prima con prove provate e con riscontri oggettivi più solidi. Quello che oggi viene presentato dalla stampa come un “interrogatorio a sorpresa” è soltanto un interrogatorio assolutamente normale di una persona raggiunta da un avviso di garanzia qualche mese fa insieme ad altri soggetti. Si parla insistentemente oggi di un uomo e una donna e li si propone come cose nuove ed inaspettate quando sappiamo benissimo di chi si tratta. Tutti riconducibili al cosiddetto “entourage di Gambino” che qualcuno definisce come “orbita” per renderlo più accattivante dal punto di vista giornalistico. Niente di più normale anche se la Procura insiste con la sua linea di accusa per il reato di subornazione. Così facendo la Procura si è praticamente tagliato la possibilità di sentirli perchè già avvisati per altra inchiesta non riconducibile a quella madre di “Linea d’ombra”. Ha, invece, sentito la ex portavoce di Gambino, la collega giornalista Anna Rosa Sessa, accusata prima di “truffa aggravata” e soltanto dopo di “subornazione”. E’ il termine “aggravata” che mi fa sorridere. Aggravata perché la collega ha avuto la sventura di farsi nominare da Gambino? Insomma un vero e proprio pasticcio a dimostrazione che gli inquirenti non sanno più a che santo votarsi. So che il mio parere non conta un fico secco ma lo esprimo ugualmente: l’accusa di truffa aggravata a carico della Sessa fa, nel migliore dei casi, soltanto ridere. Quella di subornazione fa, se possibile, allontanarci ancora di più dalla credibilità della giustizia per come è applicata dagli uomini. Voglio ripetere qui cosa è il concetto giuridico della subornazione e quali possono essere i suoi effetti giudiziari.  La parola “subornare”, poco diffusa, significa in buona sostanza dare (o anche solo promettere) ad un “testimone” o ad una persona “informata sui fatti” denaro o qualsiasi altra utilità al fine di fargli deporre il falso.  Ovviamente la subornazione assume la dignità di “delitto spregevole” nel momento in cui essa viene conclamata come realmente consumata per sollecitare il teste a dire il falso e non per sollecitare la memoria del teste a ricordare la verità. Questo per fermarci alla subornazione che rimane un reato molto opinabile ed in punta di diritto diversamente interpretabile, perché il ricatto e la violenza sono altra cosa, ma qui nel processo in corso non compaiono. Un giudice dell’allora Ufficio Istruzione di Salerno scrisse nel lontano 1983 in una ordinanza di assoluzione che: <<il problema da risolvere non sta nello stabilire se i testi siano stati o meno sollecitati, ma sta nello stabilire se siano stati sollecitati a dire il vero o a dire il falso>>. Ma il giudice, a maggior chiarimento, aggiunge ancora:  <<a parte la considerazione che, per procedere all’arresto dei testimoni per falsa testimonianza, si deve avere la certezza che gli stessi hanno  detto il vero nella prima deposizione e hanno mentito nella seconda, non è detto che, con una tale soluzione, si sia raggiunta la verità … spesso i testi arrestati hanno si ritrattato, si ripete; ma non il falso, dicendo il vero, bensì il vero, dicendo il falso >>. Per ritornare alla collega Anna Rosa Sessa c’è un aspetto che voglio evidenziare. Ho letto e riletto i report giornalistici che parlano del suo interrogatorio, credo di saper leggere alquanto bene  l’italiano e di vedere anche al di là delle parole e di come esse vengono utilizzate. Stiamo attenti, tutti, a non far passare la collega come una delatrice per incasellarla presto nell’elenco odioso dei pentiti, sarebbe davvero un peso gravissimo da portare nella nostra coscienza anche perché la collega non ha nulla di cui pentirsi. Alla prossima.

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