Irlanda: quale situazione a tre anni dal crack Lehman Brothers

Filippo Ispirato

Si sente spesso parlare di crisi greca, spagnola, dell’emergenza portoghese e delle difficoltà del sistema creditizio cipriota, ma quasi per niente, se non in maniera marginale, della situazione in Irlanda, che fino a metà degli anni 2000 veniva definita la tigre celtica per via della sua crescita impetuosa paragonabile a quella delle “sorelle” asiatiche.

Per capire fino in fondo la realtà del paese è importante, prima di tutto, fare un excursus della sua storia recente per capire quali sono stati i suoi fattori di crescita e quali le sue debolezze che lo hanno fatto implodere.

L’Irlanda storicamente è stata una nazione povera e terra di emigrazione verso l’Inghilterra, l’Australia, la Nuova Zelanda o gli Stati Uniti. Per favorirne la crescita e migliorare la sua struttura socio economica fu annessa nel 1973 all’interno dell’allora Comunità Economica Europea.

I primi benefici non si sono avuti nell’immediato, a causa degli shock petroliferi del 1973 e del 1979, ma già a partire dalla metà degli anni ’80 l’economia di Dublino ha vissuto un periodo florido grazie ad una serie di fattori:

–        l’attuazione di politiche economiche a livello comunitario che hanno favorito l’export irlandese grazie anche all’abbattimento delle barriere doganali all’interno della CEE. L’idea della crescita salta subito all’occhio se si guarda alle percentuali delle esportazioni sul Pil. Il rapporto tra Pil ed esportazioni è passato dal 34% del 1963, al 38% del 1973 (anno di ingresso nella Cee) fino a raggiungere addirittura il 94% nel 2002.

–        la presenza di un sistema educativo di buona qualità paragonabile, in media, agli standard europei affiancato ad un livello salariale più basso e al madrelinguismo inglese

–        il buon uso fatto in passato degli aiuti finanziari europei che hanno permesso l’ammodernamento delle strutture produttive ed infrastrutturali che, solo nel quinquennio 1994 – 1999, sono ammontati a circa 10 miliardi di Euro

–        le basse aliquote fiscali sulle società, che hanno permesso a numerose aziende multinazionali straniere, in particolare americane ed inglesi del settore chimico, farmaceutico ed informatico, di stabilirvi il loro quartier generale per il continente europeo

 

Dal 1985 al 2005, in poco più di un ventennio, l’Irlanda ha cambiato completamente il suo volto: è diventata terra d’immigrazione (si stima che circa il 10% della popolazione totale sia straniera attualmente), l’occupazione è aumentata sensibilmente e il reddito pro capite è passato dall’essere di poco superiore al 50% della media Ue a diventare il secondo dietro solo a quello del Lussemburgo.

Il settore trainante del miracolo celtico, che è stato anche il suo tallone d’Achille, è rappresentato dal settore immobiliare e delle costruzioni.

La bolla immobiliare degli anni ’90 ne ha causato l’implosione, basti osservare i seguenti dati: la percentuale sul Pil del comparto immobiliare è passata dal 12% degli anni ’90 al 24% del 2006, il volume dei mutui concessi dalle banche per l’acquisto di case è passato dagli 8,5 miliardi di Euro del 1999 ai 96,2 miliardi del 2006, una cifra dieci volte superiore, il prezzo degli appartamenti di nuova costruzione nel decennio 95-05 è aumentato del 250% e quello dell’usato addirittura del 520%.

Una bolla che era facile prevedere, ma che le istituzioni politiche hanno sottovalutato in quanto la percentuale della forza lavoro occupata nel settore delle costruzioni era pari al 20% del totale e che un prezzo più alto delle compravendite significava maggiori introiti per le casse pubbliche sotto forma di Iva, imposte locali sugli immobili (la nostra Imu per intenderci), tasse su capitale e sul reddito dei lavoratori del comparto.

Il crack della Lehman & Brothers nel 2008 ha fatto crollare la fragile economia irlandese come un castello di carte. Questo sia per una crisi internazionale che ha indebolito i principali partner commerciali di Dublino (Usa ed Uk) sia per lo scoppio della bolla immobiliare, che ha dato il colpo di grazia alla ex tigre celtica. Ciò si è tradotto in una forte diminuzione dell’occupazione, minori introiti fiscali e aumento delle insolvenze bancarie e di pignoramenti delle case che hanno fatto collassare il sistema del credito irlandese.

La situazione è peggiorata sensibilmente in poco più di tre anni: il tasso di disoccupazione sfiora attualmente il 15%, un dato sottostimato e mitigato solo dalla forte emigrazione ripresa con forza dal 2009 al ritmo di 1.000 al giorno, verso altri paesi anglosassoni.

Le continue politiche di austerità imposte dalla Trojka (Banca Centrale Europea, Fondo monetario internazionale ed Unione Europea) hanno indebolito il paese, depresso i consumi, tagliato posti di lavoro e conseguentemente ridotto la base imponibile. La principale critica mossa alla classe dirigente irlandese è stata quella di aver imposto sacrifici solo per creare la liquidità necessaria per il pagamento dei debiti verso l’estero tralasciando i problemi concreti della popolazione.

Questo ha alimentato lo storico sentimento di pessimismo e di apatia che ha caratterizzato gli irlandesi nei secoli scorsi, c’è oggi un sentimento diffuso di impotenza. Dimostrazione di questo la scarsa affluenza al referendum di Aprile per l’adesione del paese al “Trattato di stabilità fiscale” che ha di poco superato il 50%, segno evidente della sfiducia degli irlandesi nei confronti della loro classe politica (in particolare del partito di maggioranza  “Fianna Geal”) accusata di corruzione ed incapacità nella gestione della crisi.

Ci è sembrato doveroso, sebbene se ne parli molto poco sulla stampa nazionale, fare un focus sull’Irlanda, un paese che già da tempo è alle prese con numerose manovre di austerità e che ha sul tavolo ancora molti problemi irrisolti.

Vorremmo concludere con alcune osservazioni e domande alla nostra classe politica, economica e dirigenziale: tagli indiscriminati e spending review ci condurranno di sicuro al risanamento dei bilanci pubblici? O queste cure da cavallo finiranno per peggiorare la situazione e far ristagnare l’economia come per Dublino?

 

 

 

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