Israele: il diritto alla casa messo in crisi

Maria Chiara Rizzo

Lotta al carovita e proteste per gli alti tassi di disoccupazione e per il diritto alla casa. Centinaio di migliaia di israeliani manifestano il loro malcontento per i problemi aggravati dalla crisi che non risparmia Israele. E’ doveroso considerare che per migliaia di cittadini palestinesi la questione e’ ancora piu’ problematica: con la creazione dello stato di Israele nel 1948, gran parte della terra -prima sotto mandato britannico- è stata nazionalizzata. Successivamente, e’ stata adottata la legge 20 sulla “proprietà degli assenti”, che deliberava la nazionalizzazione della proprietà dei rifugiati palestinesi che, anche se temporaneamente, avevano abbandonato la propria casa in fuga dalla guerra. Ma non finisce qui. A Gerusalemme, cosi’ come in altre  citta’,  viene applicata la legislazione ottomana, che garantisce l’ereditarietà del diritto alla locazione solo fino alla seconda generazione rispetto a quella che aveva stipulato un contratto con lo Stato.  La terza generazione di palestinesi si trova, dunque, nella condizione di non poter rivendicare i propri diritti. Secondo le statistiche dell’ Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI), viene dato lo sfratto a circa 1500 famiglie all’anno, poi le case sgomberate vengono affittate a non arabi. Inoltre, ci sono zone in cui le case vuote vengono abbattute per fare spazio ad altre costruzioni, senza tener conto delle persone che vi abitavano. Secondo fonti locali a Jaffa nel 1947 abitavano 120 000 palestinesi, che ora sono circa 20 000. Le politiche discriminatorie e la privatizzazione colpiscono le fasce più vulnerabili, ebraiche o arabe che siano. “Un anno fa ci siamo organizzati con tende in piazza per dire no alle discriminazioni e chiedere uguali diritti per tutti, arabi ed ebrei”, raccontavano i membri del comitato popolare di Jaffa. Stando ad alcune ricerche dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele, ci sarebbero 50 000 bambini in Israele -non tutti arabi- non registrati in alcuna scuola, a causa della loro vita da “nomadi”, poiche’ costretti a girare di casa in casa e spesso di paese in paese.

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