D’Andrea/6: le scuse mai arrivate !!

Aldo Bianchini

SALERNO – Dopo diversi mesi riprendo a parlare, o meglio a scrivere, sul personaggio Cosimo D’Andrea, protagonista di una storia umana a volte esaltante e piena di successi ed a volte letteralmente sconcertante  e piena di insuccessi e contorte vicende giudiziarie. Probabilmente Cosimo D’Andrea è stato semplicemente un uomo vittima delle sue stesse ambizioni in campo finanziario che la fervida mente di cui era portatore aveva immaginato, partorito e cresciuto all’ombra di coperture politiche che presto si sono dissolte lasciandolo solo davanti a determinate responsabilità che, a quel punto, sono state soltanto sue e talmente grandi da spaventare chiunque: politici, magistrati, amici e nemici. Ed è finita nella maniera più triste ed anche più drammatica, come spesso finisce in questi casi, con una pletora di personaggi seduti di fronte a lui, come in un infernale girone dantesco, a puntargli l’indice contro e ad accusarlo di cose immonde che forse non aveva mai immaginato. Ecco perché Cosimo D’Andrea ad un certo punto della sua  breve vita si è lasciato andare preferendo la morte come risoluzione finale contro una situazione ormai non più modificabile ed inarrestabile dal punto di vista giudiziario. Alla sesta puntata di questa storia è necessario capire alcune cose sul personaggio D’Andrea; innanzitutto che è nato il 16.06.1946 a Battipaglia e che è  deceduto il 19.12.2001 nel “reparto detenuti–padiglione Palermo” dell’ospedale  Cardarelli (Napoli), sezione distaccata dell’istituto penitenziario di Secondigliano (Napoli). E’ morto undici anni fa all’età di 55 anni, pochissimi per morire, forse troppi per poter sopportare l’indicibile penitenza di rimanere segregato nelle patrie galere anche quando le sue condizioni psico-fisiche non consentivano più la permanenza in stato di detenzione. Una vicenda che non può essere descritta ed analizzata in poche battute o con qualche pagina scritta, una vicenda che meriterebbe ben altre tribune anche più importanti della mia, una vicenda che ancora oggi dopo undici anni la famiglia, la vera famiglia e non il presunto “clan”, non riesce ad accettare, una vicenda sulla quale tutti dovremmo interrogarci. Può un uomo morire in carcere? Io credo assolutamente di no. Nessun uomo, al netto delle sue reali o ipotetiche responsabilità di natura penale, civile o semplicemente di coscienza, deve essere lasciato a morire in stato di restrizione psico-fisica. Nel momento del trapasso ognuno di noi dovrebbe sentirsi libero innanzitutto qui, sulla terra, prima di liberare la sua anima verso l’eternità. Nel caso specifico di Cosimo D’Andrea c’è stato, forse, qualcosa in più; c’è stato l’accanimento giudiziario che non è una promanazione naturale della giustizia ma è soltanto una crudeltà inferta dagli uomini contro un altro uomo, spesso indifeso e solo. Le peggiori nefandezze, ripeto, non sono sufficienti anche se provate o confessate a giustificare la crudele mortificazione e soppressione di un diritto naturale ed inalienabile che è quello di morire nella grazia di Dio. Sulla vicenda di Cosimo D’Andrea possono essere scritte tante verità e tante meschine bugie, una cosa però è certa: esiste una sentenza della suprema Corte di Cassazione che sancisce (almeno per il momento) specifiche responsabilità a carico di un medico, il dottor Michele Galante, che sulla scorta di quanto periziato da esperti del calibro di CorrettiMessina e Cipriani avrebbe incautamente affermato che le condizioni psico-fisiche di Cosimo D’Andrea erano compatibili con il regime carcerario. Da qui la decisione di un altro gruppo di uomini (magistrati ed esperti) di ignorare la perizia favorevole e di procedere all’arresto il giorno 12.06.2001; una decisione che ha portato fino alle estreme conseguenze lo stato di prostrazione dell’uomo D’Andrea con la conseguente morte avvenuta il 19 dicembre 2001, undici anni fa. Nelle prossime puntate di questa storia cercherò di raccontare tutti i passaggi giudiziari facendo nomi e cognomi di tutti quei personaggi che la “famiglia D’Andrea” ritiene responsabili e dai quali vorrebbe soltanto le scuse ufficiali.  Quelle scuse, purtroppo, non sono mai arrivate.  Nel raccontare i  fatti non c’è alcuna sete di vendetta, c’è soltanto la storia vera da scrivere per fare in modo che non accada mai più a nessun altro.

 

 

  

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