Un figlio tra due smartphone

Marco Bencivenga

Ore 21,20, in una nota pizzeria del centro. Attendo, famelico, che il cameriere servala margherita” piccante, meglio nota come “diavola”.Accanto al mio tavolo, una giovane coppia con bambino. Entrambi i genitori mangiano con in mano il cellulare, in silenzio. Il bambino, sentitosi trascurato,richiama l’attenzione piangendo. Poco dopo, viene sonoramente rimproverato e imbronciato, si ammutolisce in una smorfia. Provo a sorridergli. Mi fissa. Sembra contento e, nel sorriso, mi allunga una mano in segno di apertura. Ora è meno solo…Avvilente.

Difficile dire cosa porti una coppia di genitori, giovani o meno giovani, ad immergersi, pienamente e senza regole, nell’apnea virtuale del touch screen. Sembra quasi che il piacere tattile, unitamente alla sensazione di spostare il mondo con un dito, renda senza pelle, nè sensorialità percettive: quasi una dissociazione dell’io persona, protesa e concentrata sul sé, più che verso la relazionalità e gli altri.

Avete mai provato ad interagire con chi è connesso ad un tablet super full hd?

Disinteresse, disattenzione, sordità, aggressività in molti casi.E’ questo il progresso?

Non avrei voluto scriverlo, ma…Una volta si parlava coi bambini. Li si educava alla socializzazione. L’altro giorno a scuola, ho sentito il bisogno di prendere per mano un adolescente seduto in disparte,completamente appeso al suo cellulare durante l’ora di ricreazione. L’ho portato in giro per la scuola, sino al punto da presentargli tutti i miei allievi seduti in refettorio, i collaboratori scolastici e via dicendo. Mi ha salutato con aria interrogativa, quasi come se avessi commesso un’azione aberrante.

Penso che reprimere quelle vulcaniche risorse vitali, tipiche dell’infanzia e dell’adolescenza, è ridurre il malcapitatoalla deprivazione affettiva, alla perdita di fiducia verso il mondo degli adulti, alla frustrazione, alla depressione.

Oggi è sempre più in aumento la cd. “dipendenza da cellulare”, approdata all’ambito della psicopatologia, come contraltare dell’innovazione tecnologica. Ma il rapporto morboso col “videofonino”, sebbene comporti taluni vantaggi (rende più sicuri, rende meno soli grazie alle chat, gli mms e la posta elettronica), determina anche ansia e frustrazione, qualora il contatto col mondo virtuale viene impedito o bruscamente interrotto.

La relazione patologica col cellulare, assomiglia a quella che ha chi soffre di DAP (Disturbi da Attacco di Panico), con il proprio ansiolitico; sempre in tasca, in borsa o addirittura in mano, così da poterlo assumere al primo sintomo di pericolo.

In definitiva, quella con lo smartphone è una relazione consolatoria che, di fatto, assorbe ogni relazione reale al punto da trasformare il display in una finestra sul mondo: quello preferito, agognato, rassicurante e abitudinario, dato che è sempre lo stesso, sempre pronto a modificarsi sotto le nostre dita a seconda del bisogno del momento.

Ripenso al bimbo in pizzeria. Tra due smartphone all’ ultimo grido, non erail soloa dover crescere.

 

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