LAVORO: dalla colpa cosciente del datore alla colpa del lavoratore … il caso Thyssen

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Il 24 aprile scorso la sentenza della Suprema Corte di Cassazione in merito al processo a carico dei presunti responsabili del rogo della Thyssen Krupp che causò la morte di sette lavoratori a Torino ha sconvolto l’opinione pubblica ed esacerbato gli animi già scossi di tutti i parenti delle vittime. Frutto di una cattiva informazione anche da parte dei grandi quotidiani del Paese che hanno preferito puntare i loro editoriali sull’eventualità di una ulteriore riduzione della pena in danno dei sei imputati per effetto del rinvio del processo ad un nuovo collegio giudicante, piuttosto che puntare sulla corretta informazione diretta a spiegare che la decisione della Cassazione è incentrata sull’interpretazione del <<concetto di responsabilità>> suddiviso tra omicidio volontario e omicidio colposo cosciente. Concetto che non può essere disgiunto dal fatto che alla base del concetto di responsabilità c’è sempre la <<colpa del datore di lavoro>> che spesso, se non quasi sempre, si miscela con il concorso di colpa del lavoratore. Se questi fatti essenziali non diventano messaggi culturali, extrapolandoli dai messaggi mediatici veri e propri, si finisce sempre nella spettacolarizzazione dei processi a salo danno della verità e dell’attesa dei familiari delle vittime che hanno tutto il diritto di capire, prima ancora di sapere, la verità. Devo dare atto a Stefano Zurlo (editorialista de Il Giornale) che in data 26 aprile 2014 ha titolato il suo intervento così: “”Thyssen, sconfitta la giustizia spettacolo; rabbia e voglia di vendetta … ma i processi talk show non funzionano (e vanni rifatti)””. Insomma il dramma come una bandiera da sventolare con l’unico sopravvissuto, Michele Boccuzzi, portato addirittura in Parlamento da un PD (Partito Democratico) sempre più lontano dalla risoluzione di questi enormi problemi. Ovviamente anche Zurlo non approfondisce più di tanto la problematica delle diverse sfaccettature della colpa, probabilmente non le conosce, ma almeno ha posto con serietà il problema delle derive che possono determinare i cosiddetti processi talk show (da Porta a Porta a Ballarò … !!) che passano soltanto i messaggi mediaticamente convenienti, fregandosene altamente di quelli seriamente istruttivi. Del resto lo stesso procuratore aggiunto di Torino, Raffaele Guariniello (nativo del Cilento e specificamente di Vallo della Lucania) ha da sempre inseguito non solo il processo talk show ma l’ossessivo obiettivo della “colpa volontaria” per far affermare il concetto di omicidio volontario rispetto a quello, semmai, di omicidio colposo cosciente che è pur sempre un fatto gravissimo in sede penale; il giudice torinese lo ha evidenziato in ogni sua <<santa inquisizione>>, dal calcio all’infortunistica stradale, fino al pianeta lavoro. Senza mai riuscirci perché davvero il passaggio è troppo grosso ed ha fatto bene la Cassazione a fermare anche il tribunale piemontese che, caso unico, aveva accolto le tesi della pubblica accusa, forse sull’onda dell’emozione mediatica ma senza basi solide costruite sul diritto civile e penale di ognuno di noi. Difatti non si può mai escludere, a priori ed a prescindere, la colpa del lavoratore. <<Difatti puo` accadere che alla causazione del danno la colpa del datore di lavoro concorra con una colpa del lavoratore. Si pone in tal caso la questione se tale concorso abbia l’effetto di ridurre la responsabilita` risarcitoria del datore, secondo la regola generale di diritto comune (art. 1227 c.c.), o se invece debba ritenersi che la culpa in vigilando del datore assorba, per così dire, l’imprudenza o negligenza del lavoratore, e in particolare l’inottemperanza da parte sua a disposizioni impartite per la protezione dal rischio, configurandosi in tal modo quasi una responsabilità oggettiva del datore stesso. In quest’ultimo senso e` orientata da almeno un trentennio la giurisprudenza nettamente prevalente, soprattutto -ma non soltanto-  in riferimento al caso del lavoratore più giovane e inesperto, quale l’apprendista o in generale il lavoratore in formazione; e questo orientamento non si e` attenuato dopo che il d.lgs. n. 626/1994 ha ridefinito ed enfatizzato gli obblighi gravanti sui singoli lavoratori>>. Per completezza del discorso, che è davvero molto complicato e poco comprensibile per i non addetti ai lavori (ecco perché fa più presa puntare l’indice sulla responsabilità del datore a tutti i costi !!) va anche detto che buona parte dei giudici (di vecchia scuola di sinistra e/o nel canovaccio dell’ormai spento e superato Statuto dei Lavoratori) perseverano nel considerare rilevante, a sgravio della responsabilità del datore, soltanto il comportamento doloso del dipendente, o quello colposo che assuma i connotati dell’abnormità e dell’assoluta inopinabilità, da valutare nell’ambito di quel potere giudiziario che passa sotto il nome di <<libero convincimento>>. Ma i giudici della Cassazione non hanno assolutamente toccato questi aspetti e si sono soffermati sul concetto principale di responsabilità, come era giusto si soffermassero, per dirimere qualsiasi dubbio e per consentire a tutti, non solo ai datori di lavoro, di vivere in un paese civile e non di fronte ad un plotone di esecuzione. Questi concetti fondamentali l’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) li conosce benissimo, li mastica come pane quotidiano e cerca di diffonderli a tutti i livelli, cominciando dalle scuole di ogni ordine e grado, coinvolgendo operai, dirigenti, imprese, visitando cantieri e fabbriche nell’ottica di una <<comunicazione diffusa>> che spesso trova ostacoli ed incomprensioni insormontabili. Del resto lo stesso attuale Presidente della Repubblica, pur nella forza delle sue esternazioni in materia di prevenzione infortuni, non ha mai parlato direttamente dell’ Inail (che comunque il 1° maggio ha visitato !!) e delle indiscusse capacità che l’Ente ha per via della sua storica presenza nel novero del mondo del lavoro. Appena sedici anni fa l’Inail è stato capace di organizzare un congresso mondiale sulla prevenzione infortuni (Napoli, luglio 1998) in occasione del centenario dalla sua nascita, riuscendo a coinvolgere diverse decine di stati nazionali tra i quali anche gli USA e il Giappone; congresso che nella relazione conclusiva esprimeva voti affinchè si desse il via alla creazione di un <<ente sovrannazionale>>, semmai incardinato nell’ ONU o nell’ OMS, deputato all’emanazione di un unico codice della prevenzione. Quel documento, purtroppo, è scomparso nei flutti del tempo e della dimenticanza.

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