SALERNO – L’ultima polemica in ordine di tempo su un politico riguarda la posizione dell’attuale sindaco di Eboli, Martino Melchionda, per via dei lavori effettuati nella casa di sua proprietà, lavori che sarebbero stati eseguiti speditamente e che per questa ragione i Carabinieri agli ordini del capitano Cisternino hanno, nelle scorse settimane, invaso il Comune e posto sotto sequestro tutti gli atti relativi alla concessione edilizia. Questa polemica apparsa su tutti i giornali mi da la possibilità di rispondere ad una domanda che ho già posto nelle precedenti puntate di <<Cemento, alla conquista di Salerno>>; vale a dire se ci troviamo in presenza di <<imprenditori>> o di <<prenditori>> soprattutto quando parliamo di lavori nell’edilizia, dai più piccoli per finire alle grandi opere pubbliche. La risposta è semplice: ci troviamo di fronte più a prenditori che imprenditori, almeno qui da noi al sud. E’ accaduto a Salerno, nel Vallo di Diano, nel Cilento e nell’’Agro Nocerino dove i <<prenditori d’assalto>> hanno aggredito la politica afferrando tutto quello che era possibile in termini di danaro pubblico per fantasiosi lavori o incrementi industriali e poi non hanno garantito né occupazione, né imprenditoria, tutto a danno dell’economia territoriale. Il caso di Melchionda, cui ho fatto riferimento in apertura, è soltanto l’occasione per rimarcare un problema che esiste davvero. Melchionda, ovviamente, dimostrerà sicuramente che i lavori in casa sua sono stati eseguiti a norma di legge e che sono stati regolarmente pagati alla ditta esecutrice, ma la cronaca è piena zeppa di episodi completamente diversi; abbiamo visto addirittura ministri della repubblica cadere per il malvezzo di accettare l’esecuzione di lavori nelle proprie case in cambio dell’affidamento di lavori pubblici. Questo malvezzo, che viene da molto lontano, è uno dei punti cruciali per il ristabilimento della legalità in questo Paese e il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, lo pone come fatto imprescindibile. Nel suo libro <<Giustizia e Potere>> (Ed. Riuniti) scrive testualmente: <<In Italia viviamo una fase di “capitalismo senile”. In Italia viviamo una fase di capitalismo senile dove c’è una “prenditoria”, e non un’imprenditoria, in cui molti imprenditori, non tutti, vivono sul sussidio pubblico, col legame con la politica, con la classe dirigente, attraverso il controllo della spesa pubblica. Questa forma di capitalismo senile non è un percorso occasionale e non previsto, è anche un fatto voluto, perché questa forma di economia che si regge molto sui finanziamenti pubblici, su un certo modo di fare impresa, sul controllo rigido della spesa pubblica da parte di una certa politica e di una certa classe dirigente, su un rapporto privilegiato tra alcune famiglie di imprenditori e la politica, passa attraverso il controllo dell’economia e degli investimenti, di dove andare ad investire le somme pubbliche e attraverso il controllo del mercato del lavoro. Non si vuole un’economia diversa e una vera concorrenzialità nell’economia, un’economia di tipo sociale, perché questo non solo libererebbe l’economia nel vero senso della parola, ma creerebbe un mercato del lavoro libero, di mobilità, di creatività, fantasia e impegno e la sgancerebbe da quel controllo mafioso che si situa nell’intreccio tra spesa pubblica, criminalità organizzata, politica, mercato del lavoro e voto di scambio>>. Un’analisi di tipo giudiziario, non c’è che dire, ma rispettabilissimo perché disegna esattamente il quadro della situazione che imperversa da decenni. Nessuna meraviglia, quindi, che alla fine la magistratura cerca di trovare in questo intreccio di interessi la chiave per entrare nel sistema <<politico-mafioso-imprenditoriale>> che ci governa. Ecco perché quando si parla di cemento si finisce col pensare inevitabilmente al cemento come strumento di battaglia per la conquista del potere; ed in tal senso le parole di De Magistris sono assolutamente esaustive. Per quanto attiene la nostra provincia abbiamo troppo presto dimenticato cosa accadde a cavallo degli anni 80-90 quando quasi tutta la classe imprenditrice si schierò con i socialisti di Conte per poi velocemente cambiare bandiera e passare sotto gli stendardi di De Luca che prometteva mari e monti con quel famoso detto <<partecipate e arricchitevi>> rivolto proprio ai cosiddetti imprenditori salernitani. Ecco perché gli imprenditori anche non volendo, perché molti di loro non sono capaci, hanno segnato e segnano le sorti politiche dei personaggi di spicco. Il senso della battaglia in seno all’ANCE di Salerno è proprio questo, nessuno degli imprenditori vuole mollare la cosiddetta <<mucca pubblica da mungere>> fino alla estreme conseguenze; una battaglia quasi da ultima spiaggia, da qui anche le risse manesche che comunque deturpano l’immagine che, ad onor del vero, il presidente Antonio Lombardi ha cercato di ricostruire dopo i disastri di tangentopoli. Alla prossima.
direttore: Aldo Bianchini