TORTORELLA: una storia familiare lunga cent’anni … tra imprenditoria, sanità e vicende umane !!

Aldo Bianchini

SALERNO – “Un pensiero tira l’altro, e tutti insieme si ricompongo nella nostra mente“. Sarebbe sufficiente questa frase ad effetto, scritta con grande convinzione e anche con grande senso di riconoscenza e di appartenenza da Giuseppe e Giovanna Tortorella (che non ho mai avuto modo di conoscere !!) nel contesto della presentazione del libro per i festeggiamenti dei 60 anni di storia della <<Casa di cura Tortorella>>, per tracciare almeno su grandi linee la lunghissima storia della <<famiglia Tortorella>> che ancora oggi occupa uno dei posti di rilievo nelle <<grandi famiglie salernitane>> che iconograficamente amo definire la <<casta proletaria>>, molto simile per talento e tradizioni (non per soldi !!) a quella che oggi viene identificata come <<i figli delle chiancarelle>> che tanto fa discutere nella nostra città. Con questo termine, casta proletaria, intendo qualificare tutta quella classe imprenditoriale nostrana che, non avendo titoli nobiliari da mettere in bacheca, è riuscita a scalare i difficili gradini dell’imprenditoria nelle sue diverse ed anche contrastanti e contraddittorie sfaccettature. Per capire e commentare la storia di questa illustre famiglia salernitana bisogna andare indietro, molto indietro, a cavallo della <<seconda rivoluzione industriale>>, quella rivoluzione epocale dal punto di vista sociale e culturale che restituì, o diede per la prima volta, alla classe operaia la sua autonomia e identità in un giusto equilibrio tra lo strapotere delle <<famiglie coronate>> e quelle non blasonate e quindi <<proletarie>> che si affacciavano per la prima volta nel mondo dell’imprenditoria e delle professioni. Storicamente fu necessaria anche la prima guerra mondiale, <<la grande guerra>>, per sedimentare e regimentare questo cambio generazionale più simile ad una capovolta a 360° dei valori e dei poteri in capo soltanto alle <<teste coronate>> che tra alti e bassi avevano dominato la scena planetaria per diverse centinaia di anni; capovolta consacrata, poi, dal secondo conflitto mondiale con la fine delle dinastie e dei poteri oligarchici almeno nel mondo più conosciuto e più evoluto. Ebbene è proprio a cavallo del periodo intercorrente tra la seconda rivoluzione industriale e la prima guerra mondiale che muove i primi passi il capostipite riconosciuto della famiglia, Giuseppe Tortorella (nato a Napoli il 14 marzo 1879), che verosimilmente prima di altri intuì i momenti del cambiamento storico-epocale e produsse il suo massimo sforzo forte, com’era, di una cultura imprenditoriale ereditata dal padre troppo presto passato a miglior vita. In quella ventina di anni tra la seconda rivoluzione industriale e la prima guerra mondiale il giovane Tortorella sfonda decisamente nel mondo dell’imprenditoria trasferendosi a Salerno nel 1907, una città assetata dalla voglia di cambiamento, dove si presentò <<giovanissimo al giudizio diffidente di uomini e di tecnici>> (scrivono i discendenti Giuseppe e Giovanna) che apprezzarono l’imperioso atto di coraggio affidandogli lavori pubblici per conto dello Stato. Nasce così, nella maniera più semplice possibile, una delle famiglie più importanti ed anche più potenti della <<casta proletaria>> che ha retto solidamente ai cambiamenti dei tempi ed è arrivata fino ai nostri giorni. Ma non finisce qui; il giovane Giuseppe sposa la bella e promettente Giovanna Tafuri e mette al mondo ben sei figli: Dante, Giovanna, Cristina, Anna, Amerigo e Almerico. E la dinastia si allarga, ma  non è una casta che si addormenta sugli allori e sui successi del capostipite; anzi si muove, si agita e capisce che una <<holding familiare>> così importante non può vivere soltanto con l’impresa di costruzioni (importanti lavori portuali tra Taranto, Torre Annunziata, Napoli e Salerno e addirittura nel 1938 la costruzione dello stadio Vestuti a Salerno, vari edifici nel centro oltre alla cementificazione della zona orientale della città) e getta le basi per una nuova avventura imprenditoriale nel mondo della  sanità. Con la realizzazione dello stadio Vestuti la famiglia si assesta definitivamente nell’immaginario collettivo della stragrande maggioranza della popolazione e realizza, quasi per surrogarne il potere, l’antico sogno di una delle famiglie più importanti della <<casta coronata>> dei baroni Santamaria (originari della valle dell’Irno) che amavano lo sport al di là di ogni pensiero. Siamo agli inizi degli anni ’50 e Salerno brulica di iniziative imprenditoriali in campo sanitario privato; la piovra della sanità pubblica non ha ancora allungato i suoi tentacoli e c’è spazio per tutti nell’attività di cura e riabilitazione. L’ormai cavaliere del lavoro Giuseppe Tortorella, affiancato dai figli Dante e Almerico, lancia l’idea progettuale della costruzione di una casa di cura privata che verrà denominata <<Casa di cura Tortorella>> anche per imprimere nella storia il nome della prestigiosa famiglia. Il 10 giugno del 1954 l’amatissimo arcivescovo mons. Demetrio Moscato inaugura l’imponente struttura che si impone subito all’attenzione di tutta la città e segna, forse, l’inizio di una nuova epoca per la <<famiglia Tortorella>>. La competizione, dicevo, in quel periodo era fortissima ma a conti fatti si può con sicurezza affermare che il vecchio <<cavaliere del lavoro>> aveva visto giusto per l’ennesima volta sia per la scelta di una diversificazione  imprenditoriale del <<suo impero>>, sia per la risposta che riuscì ad avere dalla sua famiglia e soprattutto dai suoi due figli, Dante e Almerico, più direttamente impegnati nel lavoro certamente nuovo sul piano professionale ma stimolante ed entusiasmante sul piano squisitamente organizzativo. In breve tempo la clinica conquista la leader-schip cittadina, e non solo, nel mondo della sanità privata e supera tutti gli scogli possibili ed inimmaginabili per due giovani che il cavaliere volle tenacemente al comando del vascello che incominciava a solcare mari tempestosi. E come accade in tutte le grandi famiglie, siano esse della <<casta coronata>> o di quella <<proletaria>>, anche quella dei Tortorella è intrisa di storie, di amicizie, di inimicizie, di vendette, di veleni e di grandi amori. Come quella storia tra Cristina (nipote di quella Cristina figlia del cavaliere!!) e Pierpaolo; una storia che quasi tutta la Città fintamente bigotta e molto irriconoscente ha superficialmente condannato senza se e senza ma; una storia che, per quanto mi riguarda, va rispettata sempre e comunque perché è la sintesi di una <<stupenda e drammatica storia d’amore>> tra due giovani ragazzi: la prima, erede di una grande dinastia, e il secondo, un “figlio delle chiancarelle”, che non ha saputo usufruire dei benefici culturali e psicologici che quel grande amore poteva dargli. Ecco che la storia quasi si ripete al rovescio; a distanza di cento anni dalla sfida epocale iniziata dal giovane Giuseppe Tortorella, che dal nulla riuscì a dare origine ad un impero economico e ad una casta, un altro giovane sfiora l’occasione per cambiare la sua vita e non sa, però, coglierla al volo; due storie profondamente diverse. Poco fa parlavo di <<irriconoscenza>> non a caso; difatti ritengo che la città nel suo complesso abbia restituito molto poco alla <<famiglia Tortorella>> rispetto a quello che ha avuto, ed abbia esasperato i pochissimi tratti bui rispetto a quanto la stessa famiglia ha fatto nell’arco di un secolo anche per il progresso e l’evoluzione dello <<stato sociale>> di un’intera comunità che, ripeto, agli inizi del secolo scorso andava alla ricerca della sua identità perduta nei secoli e nel segno di un’era sanitaria ormai finita con la grande <<scuola medica salernitana>> dei tempi della mitica ed eroica Trotula De Ruggiero, la prima ginecologa della storia. Non lo sapremo mai, ma forse pensando proprio a questo ed alla storia entusiasmante della medicina salernitana il vecchio cavaliere del lavoro Giuseppe Tortorella volle tenacemente avviare i suoi discendenti sulla difficile strada della sanità ed anche per dare a tantissimi professionisti la possibilità di emergere in moltissime discipline mediche. E la storia della <<Casa di Cura Tortorella>> è piena di fulgidi esempi di grande professionalità, dai medici agli infermieri, dai dirigenti ai semplici impiegati. Ora la struttura sanitaria, dopo aver superato non pochi momenti di difficoltà anche di natura economica ed aver lasciato dietro di se tutte le altre cliniche nate negli anni ’50 (molte delle quali sono addirittura scomparse), veleggia verso un futuro di assoluta tranquillità dall’alto della sua trasformazione in <<società per azioni>> e sulla base di una impareggiabile professionalità acquisita nel tempo da chi la dirige e da chi opera, giorno dopo giorno, con grandi capacità mediche e assistenziali. Il successo non lo si riceve ma lo si conquista, minuto dopo minuto, cominciando dalla cosiddetta <<attenzione al paziente nella sua unitarietà psico-fisica già dall’accoglienza>> (scrivono sempre Giuseppe e Giovanna). Questo è un principio inalienabile per chi intende seguire le strade della sanità; è sufficiente entrare nell’androne della clinica per rendersene conto, non mancano accoglienza, cortesia e professionalità. Gli specialisti, i medici, il personale, i 150 posti letto, i 180 operatori, le tre sale operatorie, le 8 unità funzionali, i 9 laboratori e la diagnostica in genere sono tutti elementi che concorrono a formare i numeri di una grande e straripante azienda, ma sono cose che vengono certamente dopo <<la centralità della figura del cittadino, dell’utente e del paziente, fin dall’accoglienza, che è il riferimento continuo per le attività di tutto il personale della Casa di Cura Tortorella in cui il fattore umano è ritenuto fondamentale anche nella gestione della quotidianità>>. Tutto questo è stato prodotto nei primi sessant’anni della sua storia giustamente festeggiata nel corso del 2014, nei successivi sessanta la <<Casa di cura Tortorella spa>> produrrà sicuramente nuovi sforzi per migliorare ancora di più. Peccato che anche per la clinica c’è stato un venerdì nero, quel maledetto 14 marzo 2014 giorno in cui ha esalato l’ultimo respiro terreno uno dei suoi fondatori, Almerico, che nel lontano ’54 (poco prima della grande alluvione) il padre lungimirante aveva lanciato nella grande sfida della sanità privata. Quel venerdì un lungo e struggente assolo di sassofono fece correre un lungo brivido di freddo lungo le schiene di familiari, amici e persone comuni che si ritrovarono tutti insieme, il giorno successivo, nella chiesa dell’Immacolata di Piazza San Francesco. Ma anche questa è storia già passata. Insomma, come dire, la clinica ha brillantemente superato i sessant’anni e non li dimostra affatto.  

 

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