Dossier Salerno/36: il potere della magistratura

Aldo Bianchini

SALERNO – I magistrati non sono esseri extraterrestri sbarcati dallo spazio ma semplicemente esseri umani come tutti noi. E come noi vanno soggetti agli stessi momenti di emozioni, sofferenze e reazioni; ed anche loro come tutti noi sono tifosi di una squadra di calcio anziché dell’altra, sono simpatizzanti di questo partito politico anziché dell’altro; e come tutti noi vivono le varie alternanze della vita: sono figli, mariti, padri, amanti e anche frustrati e cornuti. Punto. Potrebbero essere sufficienti queste poche parole per spiegare una volta per tutte che anche il magistrato è un uomo normale soggetto a tutte le certezze e le incertezze della vita, pur svolgendo una professione ed un compito di altissima qualità. L’errore storico della magistratura, in genere, è quello di essersi offerta quasi spontaneamente e naturalmente all’etichettatura con sigle che vanno dalla destra all’estrema sinistra. Con una preponderanza assoluta riguardante “Magistratura Democratica” ed anche “Toghe del ‘68”, quasi come se l’appartenenza a queste due specifiche classificazioni fosse un segno distintivo in positivo. Per quanto mi riguarda la magistratura dovrebbe essere soltanto magistratura per svolgere al meglio il proprio difficile compito. E’ proprio questa connotazione, “toghe del ’68”, data ad alcuni magistrati del nostro distretto dall’avvocato Giovanni Falci, noto penalista salernitano, che non mi è affatto piaciuta, anche perché seppure vista come reale ed  ineluttabile verità, non rende giustizia neppure a quei magistrati che di quella sigla ne hanno fatto quasi una bandiera di legalità e di radicale cambiamento. Ma che cosa ha scritto l’avvocato Giovanni Falci sul giornale La Città (carta stampata) del 4 gennaio e ripreso su www.ilquotidianodisalerno.it (online) il 5 gennaio, sempre del 2017 ? Ecco il testo integrale dell’approfondimento del noto penalista: ““”Il contemporaneo pensionamento di un certo numero di magistrati di Salerno e quindi, in definitiva, l’uscita di scena di un gruppo di professionisti della giustizia che hanno operato negli ultimi 40 anni della nostra Repubblica, apre lo spunto ad una riflessione su quel ruolo di “supplenza” della magistratura nei confronti del potere politico di cui si parla tanto. Questi Giudici (non a caso li scrivo con la G maiuscola, e sicuramente non per captatio benevolentiae, visto che da domani non avrò bisogno di loro benevolentiae) hanno in comune il fatto di essere tutti figli del 68. Essi hanno rappresentato quel rapporto tra politica e magistratura alla luce della rivoluzione che avvenne in quegli anni. Essi non hanno rappresentato certamente una novità nel sistema perché il complesso rapporto tra magistratura e politica non è una questione che si è posta solo con loro, è una questione antica, dall’Unità di Italia in poi. Con loro è solo cambiata la questione nel clima del rinnovamento che ha caratterizzato quel periodo storico della loro e mia formazione culturale. La magistratura italiana è stata storicamente al servizio delle classi dirigenti. Non parlo solo dell’ottocento, anche nel novecento. Basti pensare l’attività della magistratura e le sue sentenze che sono sempre state volte contro il movimento popolare, contro il movimento contadino. Si tratta di storia molto pesante. Dopo la Liberazione con l’approvazione della Costituzione le cose non sono cambiate molto. Il corpo della magistratura è rimasto sostanzialmente lo stesso. I magistrati sono stati storicamente sempre dalla parte della classe dirigente: anche dal punto di vista sociale erano quasi tutti figli di benestanti, di grandi professionisti. Non c’erano, per così dire, magistrati figli del popolo. C’era da questo punto di vista una visione di classe. Se guardiamo alle sentenze nei confronti del movimento popolare emesse dopo la liberazione c’è da rabbrividire. E anche riguardo alla mafia le cose non erano diverse (non per connivenze sia chiaro). Per i 36 dirigenti sindacali uccisi in Sicilia non vi fu una sola sentenza di condanna. Ad un certo punto, però, la situazione è cambiata proprio con questa generazione di magistrati che prossimamente andrà in pensione. E’ cambiata soprattutto con la nascita di “Magistratura Democratica”. Un gruppo di giovani magistrati che si sono posti il problema di costituire un’associazione con l’obiettivo, in definitiva, di rovesciare la tendenza. Con il 68 c’è stato un mutamento sociale della magistratura dovuto a processi culturali molto profondi. In Sicilia e da noi sono arrivati magistrati che hanno iniziato a emettere sentenze contro la Mafia e la Camorra. Si è giunti, grazie a questa generazione ad una svolta, dal “quieto vivere” di andreottiana memoria, allo scontro frontale. Questo è stato sicuramente un fatto positivo e importante nella vita del nostro paese. Ovviamente la svolta e la scelta ha destato molto clamore perché intere “classi” sociali hanno visto svanire quei “privilegi” che li avevano sempre caratterizzati. Ma il clamore e lo sgomento per le azioni di questi magistrati si è determinato perché i “colpiti” erano i “potenti” e non i “deboli”; i colpiti erano quelli che avevano la possibilità di protestare sulla stampa e sui media, non erano quelli del movimento popolare. Certo alcuni hanno commesso errori anche clamorosi nella nostra città, hanno segnato la vita di persone innocenti travolti dalle loro indagini risultate infondate, ma hanno anche “pagato” oltre il dovuto in termini di reputazione. Tutti ancora oggi dicono che Michelangelo Russo arrestò Giordano e Salsano due sindaci di Salerno innocenti. Nessuno dice che Michelangelo Russo ha solo richiesto quell’arresto e che quei sindaci furono arrestati dal Giudice Vittorio Perillo che ha concluso la sua carriera al Tribunale per i Minori di Salerno, Tribunale di approdo di molti Giudici che hanno incrociato Michelangelo Russo nella loro carriera professionale. Proprio così, è strano il destino dei Giudici: c’è chi dopo errori clamorosi viene “promosso”(il dott. Sansone che condannò in primo grado Tortora), e chi “paga” oltre misura un errore anche se clamoroso come quello del dott. Russo. Michelangelo Russo che per la fama di quell’errore è rimasto travolto anche quando non aveva sbagliato a vederci bene (non c’era niente) in indagini che altri suoi colleghi “volevano” proseguire “ad ogni costo” (Sea Park). Io sentirò la mancanza di questi giudici e non perché sono anche io quasi in età di pensione, ma perché ho veramente paura di una restaurazione anticostituzionale che si coglie a piene mani nei commenti degli opinionisti pret a porter delle sentenze Tyssen o Eternit e, di contro, nei silenzi sulle assoluzioni scomode (De Luca).  La crisi della giustizia è tutta qui. Ciao dott.i Russo e Tringali””. Comincio il mio approfondimento dicendo subito che il “ruolo di supplenza” è stato adoperato come un velo protettivo dall’intera magistratura italiana che non ha mai voluto riconoscere, invece, di aver esercitato non un ruolo di supplenza ma di vera e propria sostituzione nell’esercizio del potere che dovrebbe essere proprio della politica; in sostanza, un ruolo di supplenza reale può dirsi tale se alla fine serve a correggere gli errori della politica ma non per annientarla e sottometterla, come è accaduto nel nostro Paese con la famigerata rivoluzione di “mani pulite” che, badate bene, è stata soltanto la punta estrema di un iceberg enorme e sommerso.  Le lentezza e l’insufficienza dell’azione di governo della politica sono cose vere e Falci le descrive benissimo, ma le stesse non dovevano essere sfruttate per la conquista del potere attraverso un sistema che fonda le sue basi fin dalla scrittura della nostra “carta costituzionale”. Se ammettiamo che il ragionamento buonista di Falci sia quello giusto, dovremmo anche pensare e credere che il mitico Piero Calamandrei, membro autorevole della Consulta Nazionale, dava segni di squilibrio mentale quando in pieno Parlamento gridava a squarciagola contro la “concessa autonomia e indipendenza della magistratura”. E non a caso Calamandrei propose una repubblica presidenziale con “pesi e contrappesi“, come negli Stati Uniti d’America, o un sistema di premierato sul modello Westminster britannico, per evitare la debolezza dei governi, come si è verificato poi puntualmente durante la lunga storia della nostra repubblica, e, allo stesso tempo, impedire la deriva autoritaria insita sia nel troppo potere, sia nel disordine delle istituzioni (leggasi anche magistratura), come era avvenuto col fascismo. Retrospettivamente, fu suo il giudizio sulla Costituzione “tripartitica“, e “di compromesso“, nella quale le forze di centro-destra per compensare quelle di sinistra per “una rivoluzione mancata” concessero loro “una rivoluzione promessa“. Nonostante ciò, nella sua immensa grandezza di giurista, difese sempre la repubblica parlamentare e la Costituzione, così come erano uscite dal dibattito democratico nella Costituente. Quasi come a dire che l’autonomia e l’indipendenza fu regalata alla magistratura per tenere buono il forte Partito Comunista che, molto probabilmente, aveva già scientificamente pianificato la conquista del potere a partire proprio dall’allevamento dei giovani magistrati nella cultura esclusiva della sinistra. E’ vero che la realtà di quei tempi, appena dopo il ventennio della dittatura fascista favoriva le lunghe – inutili e improduttive discussioni a metà strada tra il filosofico e il politico, spingeva verso una soluzione del genere; ma su quella esigenza la sinistra in genere ha costruito il suo progetto per la conquista del vero potere, mentre gli altri partiti si imbastardivano nelle lotte intestine per il potere e consumavano le loro capacità propositive e aggregative sull’onda impetuosa dell’illegalità e delle tangenti. Partiti e personaggi politici che avevano distrattamente guardato ai messaggi di cambiamento che provenivano dal ’68 pensando di poterli tacitare con una nuova colata di “finto benessere” che attraversò tutti gli anni ’60 e ’70 a disdoro degli stessi movimenti insurrezionali e terroristici. E se i magistrati per colorarsi di rosso impiegarono una ventina di anni (dal 48 al 68), le Brigate Rosse (per uno strano scherzo del destino, perché anch’esse figlie del ’68) uccisero e massacrarono tanta gente innocente provocando, indirettamente, un ritardo di altri venti anni per la conquista del potere da parte della magistratura che, nel decennio delle b.r., fu impegnata nella dura guerra aperta tra lo Stato e i rivoluzionari rossi e neri. Non è vero, dunque, l’assunto che vuole attribuire alla magistratura non sessantottina uno stato di inerzia durato una quarantina di anni dal ’48 all’88, cioè fino al momento delle prime avvisaglie di tangentopoli; quella magistratura non sessantottina fu, a suo modo, anche coraggiosa e indipendente e seppe porsi come vero baluardo in difesa della democrazia rimanendo a metà strada tra i brigatisti e i politici che, comunque, non persero l’occasione per diversi e perversi contatti reciproci. Mi piace evocare due episodi, sfuggiti ai tanti osservatori, che danno la giusta chiave di lettura di come la magistratura si è mossa nel tempo anche nella nostra provincia. Agli inizi degli anni ’60 il Presidente della Repubblica Antonio Segni venne in visita ufficiale a Salerno; qualche mese dopo un sostituto procuratore avviò un’indagine sui costi e sugli eventuali sperperi di denaro pubblico che il sindaco dell’epoca Alfonso Menna aveva consumato, secondo gli inquirenti, per quella visita del capo dello Stato. Nel 1992, un altro pm, avviò un’inchiesta sulla “dichiarazione di lutto cittadino” voluto dall’allora sindaco Vincenzo Giordano per celebrare la morte dell’arcivescovo Guerino Grimaldi, una dichiarazione che secondo gli investigatori aveva provocato un danno all’erario pubblico e una sospensione del “pubblico servizio” per via della chiusura di tutti gli uffici pubblici della città. Il caso finì dinanzi alla Corte dei Conti per poi scomparire nei meandri del tempo e dell’oblio. Due episodi quasi simili per rappresentare quale fosse l’attenzione che la magistratura, anche non figlia del ’68, poneva nella vigilanza sulla legalità dell’azione amministrativa degli Enti locali. Nel bel mezzo temporale di questi due episodi arrivarono a Salerno diversi giovani magistrati, quasi tutti salernitani doc (gravissimo errore del CSM nella distribuzione delle sedi o  surrettizia azione della politica ?) e quasi tutti infarciti degli spunti culturali e ideologici propri della sinistra; quasi come se, al pari dei politici comunisti, avessero frequentato specifici corsi di formazione a Botteghe Oscure ed alle Frattocchie; una scuola di alta formazione che non dava, però, possibilità di scelta e di demarcazione dei confini di una democrazia partecipata ma apoditticamente sottomessa in nome e per conto di principi di parte. Per i comunisti di allora, così come per tutti i giovani magistrati, bisognava combattere il potere e il padrone, in qualsiasi veste essi si presentavano, crescevano e prosperavano. Per loro il potere e il padrone avevano sempre torto. Se oggi non ricordiamo e non riconosciamo questo principio facciamo tutti una cattiva ricostruzione, in chiave storica, di quanto accaduto in quegli anni e di quanto ha inciso il potere della magistratura nella “soluzione finale” per lo sterminio dei partiti che per oltre quarant’anni avevano comunque garantito democrazia, partecipazione e concertazione ma anche, purtroppo, illegalità. Per non farla troppo lunga è il caso, ora, di rappresentare la situazione salernitana per come essa si è dipanata storicamente negli anni ’80 e nei primi anni ’90. Senza cadere nella trappola di identificare e responsabilizzare specifici e noti magistrati (che oggi si avviano ad una felice vita da pensionati) va detto che essi hanno inciso profondamente, con la loro azione giudiziaria, nel tessuto politico, sociale ed economico della città e della provincia di Salerno. E tutto è cominciato nei primi anni ’80 con l’arrivo sulla scena politica di “nuovi, giovani e pimpanti soggetti” che nello scalzare i “vecchi tromboni”, che per alcuni decenni avevano dominato la scena )Scarlato, D’Arezzo, De Martino, Quaranta, Russo, ecc.) entrarono inevitabilmente in collisione con l’altro potere nascente che era quello della “magistratura giovane e pimpante”; la guerra tra le due caste divenne ancora più furente quando tra loro si frappose la emergente “nuova e giovane imprenditoria” che aveva ereditato le grandi aziende di famiglia e cercava di portarle ad una dimensione moderna, tecnologizzata e globalizzata. Non c’è stato, quindi, bisogno che ci fossero magistrati del ’68, politici rampanti e imprenditori senza scrupoli, per scatenare la “giusta battaglia” dopo decenni di improbabile silenzio e torpore della magistratura; lo scontro era nelle cose ed era giunto il momento che accadesse; anche sull’onda dell’inchiesta nazionale di “mani pulite”. Non a caso, difatti, il pool mani pulite di Salerno costituito da Michelangelo Russo, Vito Di Nicola, Luigi D’Alessio e Antonio Scarpa si recò in missione formativa presso la Procura della Repubblica di Milano nella quale per alcuni anni aveva direttamente operato lo stesso Michelangelo Russo. E se diamo per scontato che la tangentopoli dovesse accadere, altra storia è su come accadde; per capirlo meglio rimaniamo nella nostra città. Agli inizi degli anni ’80 diversi giovani magistrati, tutti p.m. e tutti dichiaratamente di sinistra, presero d’assalto la Procura della Repubblica smantellandola fin dalle sue fondamenta. L’attacco venne portato in maniera concentrica ed asfissiante ma soltanto contro i poteri forti della politica (questo fu un errore storico, come storica fu l’aggressione a carico di Gaspare Russo con il sequestro degli studi professionali) e quel pool di magistrati ne uscì pesantemente sconfitto ed anche con pesanti ripercussioni disciplinari per molti di loro che furono trasferiti in altre sedi, salvo poi a ritornare dopo qualche anno nella loro sede naturale di Salerno, dimenticati forse da una classe politica impegnata in altre vicende. Una decina di anni dopo il secondo attacco prese, invece, le mosse più a largo raggio ed a 360 gradi, con il coinvolgimento diretto delle grandi aziende imprenditoriali (che sbandavano da destra a sinistra a alla ricerca di punti forti di riferimento), della massoneria (incredibile l’inchiesta casualmente arrivata sulla scrivania del pm Luciano Santoro che non riuscì ad entrare nel covo di Via Michelangelo Schipa), e della malavita organizzata che era alla ricerca dei nuovi capi dopo la caduta rovinosa del famigerato Raffaele Cutolo. In quel quadro tutto era possibile e tutto accadde; e la magistratura vinse alla grande. In questo quadro non andrei alla ricerca certosina dei pregi e dei difetti dei singoli magistrati perché potremmo cadere nella trappola di considerare quelli di oggi soltanto dei tecnici specializzati ed incapaci di chiudere, con il tintinnio di manette, le loro inchieste e non tanto per la millantata illibatezza dei vertici politici di oggi (parlo sempre della sinistra, naturalmente !!). Quella di tangentopoli fu un’epoca di cambiamento e di nuovi assetti di potere, per questo moltissimi indagati dell’epoca furono ingiustamente arrestati e poi assolti. Sinceramente mi piace più questa categoria di magistrati che quella scaturita dal ’68 e della quale l’amico avvocato Giovanni Falci sembra essere nostalgicamente innamorato. Ma quale visione rinascimentale e/o la ricerca della legge dell’uomo più di quella del codice !! (come evoca enfaticamente il giudice Michelangelo Russo); quella categoria di magistrati figli del ’68 è stato lo strumento materiale che la sinistra ha utilizzato come un randello nel tentativo non tanto per assicurare legalità e trasparenza ma per garantirsi potere e continuità di gestione della cosa pubblica. E se è vero, come dice Falci, che la magistratura italiana è stata al servizio delle classi dirigenti è pur vero che quella del ventennio tra il 68 e l’88 (noi italiani siamo amanti dei ventennii) non ha cambiato il suo obiettivo, lo ha soltanto ammantato di una ideologia che ha poi trovato la giusta sedimentazione nei poteri veramente forti che non sono più rappresentati dalle classi dirigenti. Non parlerei, quindi, di errori clamorosi (il giudice Sansone per Tortora e Russo per Giordano) a carico di alcuni magistrati, piuttosto di modi e modelli molto sbrigativi per entrare nei meandri delle verità vere che rimangono sempre nascoste ed irraggiungibili; così come non demonizzerei l’azione di Michelangelo Russo sia a carico di Vincenzo Giordano (arrestato il 31 maggio 1993) che contro la collega Gabriella Nuzzi (nel 2005) per il processo del Sea Park (tre richieste di arresto per Vincenzo De Luca) ed anche contro il cardinale Michele Giordano di Napoli (nel 1998). In tutte le inchieste giudiziarie ci sono sempre elementi a favore e contro i singoli magistrati titolari delle stesse inchieste e nell’esternare i giudizi bisognerebbe sempre tenere conto che le inchieste nascono perché i protagonisti offrono obiettivamente elementi di contestazione; e questo naturalmente non assolve chi di quelle inchieste ne fa uno strumento personale e/o politico di potere. Contrariamente all’avvocato Falci io non sentirò la mancanza di questa classe di magistrati che sta andando in pensione non tanto e non solo perché anche io sono già da tempo in pensione, ma perché non ho alcun timore di una restaurazione anticostituzionale, anzi. Come non fanno storia i commenti pret a porter sulle sentenze Tyssen o Eternit perché nate dalla pura megalomania del procuratore Raffaele Guariniello -originario di Vallo della Lucania- che ha forzatamente visto il dolo dove c’è soltanto il reato di natura colposa, grave ma sempre colposo; così come non fanno storia i silenzi sulle scomode assoluzioni in favore di De Luca; tutte le sentenze fanno parte del gioco. Io credo che la magistratura, in generale, non possa essere incapsulata in questi stereotipati e scomodi modelli di classificazione (vecchi magistrati, figli del 68 e nuovi magistrati globalizzati) e non ci vedo alcun tentativo di restaurazione anticostituzionale in quanto i magistrati, proprio in forza della costituzione, godono dello status di autonomia e indipendenza che nella grandissima parte dei casi viene gestito con grande autorevolezza. La crisi della giustizia non può essere sempre e solo ascritta ai magistrati che, con tutte le colpe possibili, da soli non ce la farebbero a scaraventarla nella profonda crisi che stiamo tutti vivendo sulla nostra pelle. Altra storia è affermare che quella magistratura non ha inciso sugli assetti del potere politico; sostenere questa tesi sarebbe come schierarsi dalla parte di un falso storico. A Salerno, per chiudere, la convinzione generale della gente comune è quella che spiega l’azione di quella magistratura sessantottina come il momento in cui per alcuni versi viene destabilizzata, forse massacrata, la classe politica imperante (Conte, Del Mese, Giordano, ecc.) per consegnare il potere, o meglio il “sistema di potere”, nelle mani di un unico uomo che tuttora governa il comune capoluogo, la provincia e l’intera regione.

2 thoughts on “Dossier Salerno/36: il potere della magistratura

  1. Dalle mie (unitamente ad un mio collega) denunce, partì un’inchiesta: paternità Gabriella Nuzzi. Come tutti sappiamo per questa ed altre inchieste fu allontanata da Salerno. Il PM dichiarò poi : SONO STATA ALLONTANATA DA SALERNO ANCHE PERCHE’ INDAGAVO SU DE LUCA!!!
    Quella inchiesta, successivamente denominata 7119/19 fu “passata al PM Rocco Alfano che archiviò nello stesso anno!

  2. ERRATA CORRIGE :

    7119/09.

    Dalle mie (unitamente ad un mio collega) denunce, partì un’inchiesta: paternità Gabriella Nuzzi. Come tutti sappiamo per questa ed altre inchieste fu allontanata da Salerno. Il PM dichiarò poi : SONO STATA ALLONTANATA DA SALERNO ANCHE PERCHE’ INDAGAVO SU DE LUCA!!!
    Quella inchiesta, successivamente denominata 7119/09 fu “passata al PM Rocco Alfano che archiviò nello stesso anno!

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