SALERNO – La giustizia, in questo Paese, ha smesso di essere giustizia quando ha deciso di invadere la sfera del potere per fare politica. Naturalmente questo non è accaduto oggi ma oltre duemila anni fa con il processo a Gesù che era e rimane il primo vero grande processo della storia in cui la giustizia si fuse con il potere per esigenze di natura politica.
Le mie parole saranno anche semplicistiche ma danno, a mio avviso, l’esatta dimensione del fenomeno di una giustizia che non funziona; se nell’antichità la giustizia faceva ricorso al popolo per fare politica, oggi è stato soltanto sostituito il termine “popolo” con quello più moderno di “mass media”; il Procuratore di Roma a Gerusalemme (Ponzio Pilato !!) fece ricorso al popolo per fare politica e condannare un innocente, i Procuratori di oggi (Procure, Riesame, Cassazione, ndr !!) fanno ricorso ai mass media per fare politica in danno della giustizia, quella che dovrebbe essere commutativa e che sempre più spesso diventa distributiva. E così facendo vengono meno i paletti di riferimento che per molti secoli hanno rappresentato i confini dentro i quali la giustizia deve muoversi per non correre il rischio di perdere la sua autonomia e la sua indipendenza.
Il caso che sta vivendo il “gruppo fonderie Pisano” di Fratte è assolutamente emblematico ed al tempo stesso indicativo di come non funziona la giustizia; tutto si muove sull’onda di un contrasto insanabile interno alla stessa magistratura che si giustifica dietro il paravento degli specifici ruoli, dei regolamenti, delle procedure e, soprattutto, del concetto di “libero convincimento” che ormai fa a cazzotti con la storia del diritto che la nostra culla ha coccolato per millenni. Difatti la Procura di Salerno si convince liberamente che la Pisano deve chiudere e traslocare, il Riesame si convince liberamente che può continuare la sua attività esattamente lì dove è stata costruita, la Cassazione si convince liberamente che il Riesame ha torto ma anche che la Procura non ha ragione, e rinvia il tutto ad un nuovo riesame che probabilmente ridarà il via ad una nuova serie di decisioni, di ricorsi e di ordinanze contraddittorie. Roba da matti, cose che in tutti gli altri Paesi appaiono allucinanti e dannose per il normale andamento della giustizia in Italia, invece, diventano normalità quotidiana nelle cui pieghe si annidano decisioni incredibili e tra loro contraddittorie che qualcuno vorrebbe spacciare per “tutela dello stato di diritto e della libertà democratica”. Insomma siamo in piena era dove la mancata certezza del diritto diventa essa stessa una certezza.
Come si fa a dire, ad esempio, che “il getto pericoloso di cose non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da un’attività regolarmente autorizzata e siano contenuti nei limiti delle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti che la riguardano” (fonte Il Mattino del 30 set. 2017); per dirla maccheronicamente, e non nel linguaggio pseudo filosofico-giudiziario tanto caro ai magistrati, una cosa o è pericolosa o non lo è, bisogna saper decidere subito in maniera certa e ravvicinata e senza possibilità di dubbi, incertezze, ricorsi e controricorsi o, peggio ancora, con la chiamata in causa dei comitati e delle associazioni che non fanno altro se non inquinare ancora di più un sistema che già di per se non funziona. Per ritornare all’inizio di questo approfondimento mi sembra di assistere, per le Fonderie Pisano, a quanto accadde all’epoca del processo a Cristo con Ponzio Pilato (che doveva rappresentare l’autonomia e l’indipendenza della giustizia di Roma) in mezzo al centurione ed al pretoriano che spingevano l’uno contro la direzione dell’altro per fare soltanto ingiustizia.
La giustizia, quando immerge i suoi tentacoli nel mondo del lavoro, deve avere come unici obiettivi la cura dell’ambiente, il sostentamento delle imprese e la tutela dei lavoratori con il valore aggiunto dell’incremento occupazionale; il privato che investe ha bisogno di queste risposte in tempi ravvicinati, certi e incontestabili. Non si può continuare in eterno con il ping-pong tra Procure-Riesame e Cassazione; un ping pong che andava bene forse ai tempi di Nixon con la Cina, ma che sicuramente è improponibile oggi con i tempi velocissimi della globalizzazione che condizionano investimenti economici colossali nel giro di pochi secondi.
Con il rischio, è bene ricordarlo, che gli stessi comitati e le stesse associazioni (con l’aggiunta, manco a dirlo, dei sindacati) che oggi combattono il presunto “padrone” (come fanno fin dal ’68 alcune frange della magistratura) domani si ritroveranno a combattere contro le istituzioni al fianco delle imprese che per mancanza di commesse minacciano di licenziare gli addetti.
Ma chi deve decidere se il getto di una cosa è pericoloso, e quando e perché è pericoloso ? Sembra incredibile ma non c’è nessuno in grado di farlo, almeno all’apparenza; sulla scena ci sono sempre varie correnti di pensiero e si arriva anche all’assurdo di mistificare il concetto di cosa pericolosa e tossica con una cosa soltanto maleodorante (come nella fattispecie della Pisano) che dà sicuramente fastidio ma non provoca alcun danno per la salute. Oltretutto va detto che la Pisano ha sempre gettato cattivi odori, fin da quando trasferì lo stabilimento da Baronissi a Fratte nel lontano 1961; ma non ha mai gettato sostanze tossiche perché fin dall’inizio è stata una delle poche fabbriche sempre al passo con i tempi e meticolosamente dedita alla cura dell’igiene e della prevenzione sui luoghi di lavoro (ma questo lo vedremo nelle prossime puntate).
E poi c’è un’altra realtà che, per convenienza, nessuno racconta. Le Fonderie Pisano esistono a Fratte fin dal 1961 (cioè da 56 anni !!), cioè da quando a Fratte si e no c’era uno sparuto agglomerato di vecchie abitazioni; gli insediamenti urbani sono venuti dopo e se nella crescita indiscriminata c’è responsabilità questa va ricercata a carico di chi ha scelleratamente concesso le licenze edilizie a tutto tondo per puri scopi elettorali senza tener conto che lì già esisteva una realtà industriale che stava dando lavoro e prosperità a centinaia e centinaia di famiglie; e perché no, la responsabilità ricade anche su chi ha maldestramente deciso di metter su casa nelle vicinanze di uno stabilimento industriale molto particolare. Le fonderie sono fonderie e c’era e c’è poco da scherzare.
Del resto la vocazione industriale della Valle dell’Irno è nota e risaputa e la politica aveva l’obbligo di tutelarla e preservarla da ogni tipo di contestazione per evitare guerre tra poveri; senza nulla togliere alle conferenze stampa ed alle assemblee pseudo popolari di Lorenzo Forte, anche se lo stesso fa finta di sapere che “è importante prima leggere le motivazioni della Suprema Corte” prima di protestare. Per tanta gente le Fonderie Pisano sono state, negli anni 60-70 e 80, le fonderie del desiderio.
Ma la storia delle Fonderie Pisano continua.