Dr. Pietro Cusati
(giurista – giornalista)
Il Governo, con il DPCM, decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 11 marzo 2020, ha previsto misure restrittive, imponendo, la chiusura di tutte le attività commerciali ritenute non essenziali,come nel caso in esame per un negozio di abbigliamento. Infatti l’avvio della Fase 2 e la crisi economica grava in maniera pesante sui commercianti e le imprese per il pagamento dell’affitto per mancanza di liquidità. Quello che non appare ancora chiaro è l’aspetto ‘’innovativo’’ del provvedimento, che equipara il mancato pagamento dell’affitto nel periodo di sospensione delle attività produttive ad una causa di forza maggiore, non dipendente dalla volontà del negoziante di abbigliamento rimasto chiuso durante il periodo più critico dell’emergenza coronavirus. La recente pronuncia si aggancia a quanto previsto dall’articolo 6 del DL n. 6/2020, il decreto Resto a casa, convertito nella legge n. 123/2020, il quale stabilisce che il rispetto delle misure di contenimento costituisce elemento di valutazione per l’esclusione della responsabilità del debitore in caso di mancato adempimento degli obblighi contrattuali. Il Tribunale Civile di Venezia ,in composizione monocratica,per ora ha sospeso la richiesta di pagamento con il decreto d’urgenza ed ha rinviato la causa al mese di giugno .E’ il primo provvedimento di un’autorità giudiziaria emesso in Italia a causa del lockdown. Dal Governo non è mai arrivata una sospensione generalizzata degli affitti, vista l’impossibilità di intervenire nel rapporto contrattuale tra le parti ove vige il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.Il decreto n. 6/2020 ha previsto la possibilità, in sede di contenzioso, di valutare l’esonero dalla responsabilità del debitore e dal risarcimento del danno nel caso di mancato adempimento di obblighi contrattuali dovuti a causa di forza maggiore. La decisione del Governo di tenere i negozi chiusi durante il periodo di emergenza rappresenta una causa di forza maggiore che giustifica il mancato pagamento del canone d’affitto dovuto? Una delle difficoltà più grandi per le imprese costrette a chiudere a causa del coronavirus è rappresentato proprio dagli affitti. Il credito d’imposta del 60% introdotto dal decreto Cura Italia e potenziato dal DL Rilancio riesce solo in parte ad attutire il colpo. Il procedimento non è ancora definitivo, anche se crea un “precedente” in materia di sospensione degli affitti nel periodo di lockdown.La società proprietaria dell’immobile locato potrà eventualmente impugnare la sentenza solo quando diventerà definitiva alla Corte di Appello competente per territorio. Se si fosse cercato di trovare un accordo tra locatore e locatario per rimodulare , sospendere temporaneamente il pagamento o per la riduzione dell’affitto nel periodo di chiusura forzata, ne avrebbero tratto probabilmente beneficio ambedue le parti. E’ importante sottolineare che proprio per il canone non sostenibile molti non hanno ancora riaperto. Nel Decreto n.18 del 17 marzo 2020 cosiddetto “cura Italia, all’art. 65 è stato inserito un credito di imposta del 60% che è stato riconosciuto a tutti i conduttori che abbiano dovuto sospendere le proprie attività per via delle restrizioni imposte per contrastare la diffusione del Coronavirus. Nel caso in cui il conduttore, nonostante l’emergenza sanitaria, abbia comunque interesse alla prosecuzione del contratto di locazione in essere, “se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”. Il conduttore, al sopraggiungere di una causa di “forza maggiore” che rende temporaneamente impossibile l’esecuzione del contratto di locazione, consistente nell’impossibilità di svolgere l’attivita’ commerciale ed il conseguente obbligo al pagamento dei canoni, sarebbe giustificato a ritardare nell’adempimento di propri obblighi contrattuali. Ossia, fintanto che perduri l’emergenza sanitaria, il ritardo nel pagamento dei canoni non dovrebbe configurare responsabilità in capo al conduttore, che però al momento della cessazione dello stato emergenziale e a seguito della ripresa della propria attivita’ commerciale dovrà pagare quanto non versato, senza però essere tenuto a versare alcun interesse sui pagamenti a suo tempo non corrisposti.