Il campo dell’Essere

 

Angelo Giubileo (avvocato-scrittore)

Nei Veda, il nulla che precede la luce è descritto come un oceano di acque fluide “inscrutabili” e “impenetrabili”, che costituirebbe, per così dire, il substrato o, secondo il linguaggio usato, lo spazio informale, il “campo” aperto, indeterminato e indeterminabile, in cui appaiono, alla luce principalmente dei fenomeni in gran parte regolari e ciclici del giorno e della notte, tutti i fenomeni. Negli antichi scritti, tuttavia, il nome della luce deriva, storicamente, dapprima dalla radice k (che indica un moto curvilineo)-a, da cui il Kaos dei greci;  e solo in un periodo successivo dalla radice d, da cui i termini che fanno riferimento oltre che al fenomeno del giorno, a tutti i fenomeni, appellati “dei” e, in definitiva, alla luce “creatrice”. Questo dunque, tradizionalmente, è il punto originario della distinzione, teorica, tra coloro che oggi si definiscono in qualche modo “evoluzionisti” rispetto a coloro che in qualche modo si definiscono invece “creazionisti”. Ciò che, storicamente, appare qui di evidente è il fatto di cui lo stesso Aristotele dice nella Metafisica e cioè che “i nostri più antichi progenitori” fossero “materialisti” o meglio non “credessero” a un’origine divina dei fenomeni. Questo intero discorso perdura immutato e immutabile ancora oggi. Attraverso il linguaggio moderno della fisica, lo spazio del Chaos (latino) originario è rappresentato dall’immagine di un incerto e vincolante, per la condizione nostra e di tutti gli altri fenomeni, “campo di luce” energetico; mentre nel linguaggio delle religioni, lo stesso spazio è concepito come il “campo del vasaio”, di cui è conservata ancora memoria sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, in cui il dio della fede agirebbe, viceversa, privo di vincoli.
In base a quanto prescritto, il giudizio di Parmenide assume quindi un significato chiaro e del tutto conforme all’intera tradizione:
Posero duplice forma a dar nome alle loro impressioni: d’una non c’era bisogno, in questo si sono ingannati, l’una dall’altra figura distinsero e posero segni opposti fra loro, di qua il fuoco etereo vampante, utile, assai rarefatto, leggero, in sé del tutto omogeneo, altro rispetto all’altro; anch’esso però in se stesso notte cieca al contrario, forma densa e pesante.

 

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