Aldo Bianchini
SALERNO – Come sempre, quando si tratta di cronaca giudiziaria, lo avevo già scritto in tutte le salse; ma quando lo dice e lo scrive uno soltanto non vale a niente, o quasi. Non sono qui, oggi, a cercare medagliette e/o riconoscimenti di sorta; le lascio agli arrapati di presenzialismo.
Oggi sono qui per dire, e per l’ennesima volta, che qualche anno fa abbiamo assistito alla più grande operazione congiunta tra magistratura e stampa per sputtanare non soltanto l’AOU (Azienda Ospedaliera Universitaria) ma anche un’intera città e tutta la provincia di Salerno che ricevette un colpo durissimo alla propria immagine; un’immagine sfregiata prima dai media locali e poi da quelli nazionali succubi, come sempre, di una magistratura che quando diffonde le veline pretende subito in cambio il massimo della pubblicizzazione. Media incapaci di ragionare e di riflettere prima di sparare a zero.
Oltre ottocento inquisiti tra medici e infermieri, alcuni arrestati, tantissimi sospesi; era il mese di settembre del 2015 ed a capo della Procura c’era il dr. Corrado Lembo. Media e Procura contribuirono a dare del nostro ospedale (tra i più grandi del sud) l’immagine di un luogo peccaminoso all’interno del quale tutto era possibile: amori sconcertanti e scellerati, violenze di ogni genere, mercimoni continui, dissoluzione globale, abbandono dei pazienti, caduta di stile, mancanza del senso di responsabilità; quasi come a dire che il Ruggi era diventato un ospedale che era meglio dare alle fiamme come al tempo delle streghe.
Appuntamenti hard-core sulla spiaggetta di Vietri sul Mare, cartellini che venivano timbrati anche dai parenti dei dipendenti, inesistenza dei minimi servizi organizzativi, vendita dei diritti delle prenotazioni, capi sala (quasi sempre donne) che per conto dei primari aggiudicavano all’asta posti letto e interventi operatori; insomma fu scritto e detto di tutto e di più, anche dal mitico Massimo Giletti che dagli schermi della sua tv nazionale non mancava ogni settimana di sputtanare ancora di più, fino all’inverosimile, i nostri medici e i nostri infermieri i quali, per carità, non saranno santi ma sicuramente neppure diabolici e mefistofelici organizzatori di inaudite nefandezze.
Già era nell’aria e negli atti, e venerdì 7 ottobre 2022 è arrivato l’ennesimo bagliore di luce su una vicenda assolutamente inquietante per tutti noi: “La sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” poco dopo le 13.00 con la lettura del dispositivo. In un’aula gremita di avvocati, la presidente Lucia Casale ha sciolto la riserva dando ragione al collegio difensivo (penalisti: Gino Bove, Anna Sassano, Francesco Saverio D’Ambrosio, Paolo Carbone, Genserico Miniaci, Michele Tedesco, Michele Sarno, Vincenzo Tondino, Agata Bisogno, Michela Giella e Giovanni Del Grosso) dopo che il pubblico ministero aveva avanzato alcune richieste di condanna fino a 2 anni (fonte Il Mattino)”.
Insomma più di 83 imputati assolti con la formula che dopo sette anni ci dice che “il fatto non sussiste”, cioè non c’è niente di niente; e se non esiste come si fa a creare una simile tempesta giudiziaria ? E allora di chi la colpa di questo ignominioso massacro generalizzato del nostro ospedale, della nostra città e dei nostri operatori che (come Vincenzo Califano che in 36 anni di onorato servizio non ha mai fatto un giorno di assenza ingiustificato) nella stragrande maggioranza dei casi hanno sempre assolto al loro dovere con dedizione e professionalità ?
Spesso addito come colpevoli gli insipienti investigatori che nella fattispecie vestono le divise della gloriosa Guardia di Finanza; ma non è del tutto così, la vera ed unica grave colpa appartiene comunque a chi decide se i rapporti degli investigatori devono essere considerati attendibili. La colpa finale, dunque, è della magistratura ed in special modo dei pubblici ministeri che irrompono sulla scena pubblica in forza di quei rapporti che già sanno, in pectore, di poca credibilità per la presentazione in giudizio con una pur piccola percentuale di successo.
Siamo alle solite cose che vengono ripetute da decenni: “Il tutto dimostra ancora una volta l’insipienza e la faziosità con cui vengono condotte tante inchieste giudiziarie, soprattutto quelle con al centro personaggi politici di spicco; ed ecco il famoso “vulnus della giustizia” consistente nel fatto ormai storicamente acquisito che le risultanze delle indagini preliminari non corrispondono quasi mai alla realtà dei fatti da trascinare in aula per il pubblico dibattimento, unica sede in cui la prova può e deve essere formata”.
Un problema immenso quello della giustizia; ci vorrebbe qualcuno che incominciasse ad alzare la voce per mettere seriamente mano alla sua soluzione.
Sì, qualcuno preparato, serio, scrupoloso, “pulito”, coraggioso, onesto… Non dispero.
Direttore, lo scandalo a mio avviso era simile a molte altre strutture pubbliche non solamente a Salerno. Con la diminuizione della sfera personale della privacy ogni dipendente statale é divenuto più vulnerabile al semplice uso del proprio telefonino. Intercettazioni e indagini con la deriva giustizialista acuitasi in quegli anni, che ha colpito in particolar modo la politica nazionale, le prove a sfavore di migliaia di dipendenti fino alla vidimazione dei cartellini quotidiani in parlamento, divennero tema dibattuto come il meteo per gli inglesi. Se il fatto non sussiste scandalosamente sullo scandalo, risaputo in ogni amministrazione italiana da anni come per le barzellette sui carabinieri, sarà perché il caso salernitano sarà stato confuso e comparato con la rodata prassi flessibile che fa chiudere un occhio ai dirigenti con una disciplina omertosa tra colleghi nei relativi corridoi di ogni struttura statale. Ora pretendere rigore a stretta attenenza alle ore di presenza, se sia una restituzione di diritto e legalità al resto della comunità e popolazione, bene venga come per l’esempio dato dai 5S a Montecitorio; altrimenti tali investigazioni divengono non solo qui semplice olio lubrificante per far lavorare tribunali e avvocati, supportati da un apparato di servizi semi-segreti di intercettatori che a loro volta devono lubrificare i sistemi computazionali venduti dai privati alle forze dell’ordine statali. Un cane che si morde la coda. Una coda fatta di risorse pubbliche sperperate in questo gioco a nascondino in corti e cortili, compreso il guardia e ladri, o ai quattro cantoni per finire col solito girotondo. In politica prima delle sardine ci furono i girotondini, altri satelliti del Pd; sono cresciuti, si sono evoluti, si sono professionalizzati e adesso sono loro a prendere in giro il sistema con la toga addosso (ma sotto il vestito, sotto la toga, niente).