STANZE

 

Recensione della prof.ssa Elena Paruolo (docente UNISA)

inoltrata da Giuseppe Amorelli (avvocato – scrittore)

Giusi de Curtis Camerino, autrice del libro Stanze (Arduino Sacco Editore, Bella – PZ, 2022), ha trascorso la sua infanzia e adolescenza nel suo paese d’origine, Policastro, ed è proprio questo paese del Cilento a fare da sfondo al suo libro Stanze, un piccolo gioiello. Un libro ricco di armonia, di leggerezza sofisticata – non privo di un pizzico d’ironia – per le cose che sono raccontate e per il modo in cui sono raccontate. I ricordi di un tempo che fu dall’autrice sono espressi in una prosa dal sapore antico, curata, raffinata. Una scelta di stile perfetta per andare indietro nel tempo e ripensare alla propria infanzia e adolescenza in un palazzo di sogno, sospeso nel tempo, che si erge in mezzo al “verde del cardo selvatico” che “nell’arido campo scolora – in bagliori d’acquamarina – e lapislazzulo”, su un mare incantato che entra con forza nelle stanze che racchiudono “amori e rancori, abbandoni e ritorni, gioia e dolore”. In queste stanze si muovono nonni, genitori, zii, fratelli, sorella, ma anche fattori, e raccoglitrici di olive che svolgono il loro lavoro in silenzio, con lo stile e l’eleganza delle indossatrici, mentre tutt’intorno si diffonde il profumo delle patate cotte sotto la cenere e la brace. C’è armonia tra i personaggi che entrano ed escono dalle stanze. Tra nobili e persone del popolo. Tra grandi e  piccini. La stessa armonia che si ritrova tra gli spazi raccontati, le stanze appunto, come la cappella gentilizia che risuona di canti e di preghiere; il frantoio, microcosmo affollato di uomini e donne che lavorano operosi, ma anche l’alcova che diventa un posto magico dove potere giocare e rappresentare fiabe. Non mancano note un po’ sofferte come quando l’autrice ricorda la sua angoscia di bambina nel dovere condividere con la sua maestra di piano, anche se per breve tempo, l’ amato babbo che vede conversare e sorridere insieme a lei “nella luce rosata del tramonto”. Pur essendo il tempo che scorre in queste stanze sospeso, ci sono riferimenti storici precisi: alla guerra, alle prime scuole di campagna con  pochi alunni  che vivono in condizioni di povertà, e che sono desiderosi di apprendere; alle macchine che hanno segnato un’epoca, come la “topolino”, la torpedo 509. E non manca armonia tra i racconti in prosa e le poesie che in qualche modo li racchiudono e li suggellano, facendo trapelare la loro stessa magia, come avviene con i preparativi per il Presepe, rito atteso che si ripete tutti gli anni, e che vede i membri della famiglia collaborare alla sua realizzazione, nella ricerca di muschio fresco di stagione, nella disposizione delle statuine di gesso, “a inventare il cielo – e stagnola tra il muschio – a far scorrere un rio – la stella cometa a far lume sulla notte”.  Il lettore è incantato dalla scrittura che scorre veloce sotto i suoi occhi proprio come i bambini sono incantati dai racconti degli adulti: di Felicino il fattore che con le sue parole dà vita a un mondo sconosciuto, che evoca i giorni terribili della guerra; di zio Ciccio che racconta le imprese dei suoi cani; della maestra che fa sognare i bambini con le sue storie di fate, principesse, maghi.  Poi i racconti finiscono, e così come gli adulti ritornano silenziosi, dopo avere evocato con le loro parole tante voci e tanti volti, allo stesso modo l’autrice si stacca dai suoi ricordi, dalle stanze della sua casa per iniziare il viaggio della vita, ricca del suo bagaglio di ricordi “immateriale e prezioso”, che costituiranno per sempre la sua “riserva di felicità”.

 

 

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