Due lezioni dal voto spagnolo

 

by Luigi Gravagnuolo il  26 Luglio 2023 per Gente e Territorio

 

Il sistema elettorale condiziona – e non poco – l’orientamento degli elettori. Si prendano, ad esempio, gli appelli per il ‘voto utile’. In un sistema proporzionale non hanno grande presa, in uno maggioritario appaiono viceversa molto convincenti, e lo sono di fatto. In Spagna il sistema elettorale è proporzionale su base territoriale.

I deputati da eleggere al Congresso sono 350. La platea viene suddivisa in 52 circoscrizioni corrispondenti a 50 province più le due città autonome di Ceuta e Melilla. Queste ultime eleggono un deputato ciascuna, mentre le altre circoscrizioni elettorali ne eleggono in numero proporzionale alla composizione demografica del territorio e comunque non meno di due deputati per circoscrizione. Le province più popolose, Madrid e Barcellona, eleggono rispettivamente 37 e 32 deputati.

In ogni circoscrizione vige una quota di sbarramento del 3% al di sotto della quale una lista non genera alcun eletto. I seggi sono assegnati proporzionalmente tra chi supera il 3% dei voti nella circoscrizione.

In Spagna le liste più quotate, alla vigilia del voto di domenica scorsa, erano quelle del Partito Popolare, che candidava Alberto Nuñez Feijóo alla guida del Governo Nazionale; quella di Vox, che candidava Santiago Abascal; quella del PSOE con l’uscente Pedro Sanchez alla sua guida; e quella denominata Sumar, un’aggregazione di varie formazioni di sinistra radicale, guidata da Yolanda Diaz. A queste si aggiungevano le liste territoriali, tra le quali le più rilevanti erano due formazioni catalane e due basche.

Ad urne scrutinate, smentendo le attese alimentate dai sondaggi, il PP e Vox insieme non hanno raggiunto la maggioranza dei seggi. Il PP ha raccolto 8milioni e rotti di voti, pari al 33%, mentre Vox ne ha ottenuti 3 milioni, cioè il 12,4%; insieme fanno il 45,4% dell’elettorato, troppo poco per governare. In base al sistema elettorale proporzionale su base territoriale, infatti, ai due partiti della destra sono stati assegnati in tutto 169 seggi, precisamente 136 al PP e 33 a Vox. La maggioranza del Congresso è a 176 seggi. La destra dunque ha mancato l’obiettivo. C’è di più, mentre il Partito Popolare rispetto all’ultima tornata ha guadagnato 3 milioni di voti e 47 seggi al Congresso, Vox ha perso 600mila voti e 19 seggi, una disfatta.

Vediamo ora i risultati della sinistra, di quella ‘di governo’ del PSOE e di quella radicale di Sumar. I socialisti hanno raccolto 7,6 milioni di voti con un incremento di un milione rispetto alla precedente tornata elettorale. Sumar dal canto suo ha praticamente bissato il risultato di Podemos del ‘19, circa 3 milioni di voti. In termini percentuali il PSOE è passato dal 28% del ‘19 al 32% di domenica scorsa; Sumar dal 13% di Podemos al 12,3%. Quanto ai seggi il PSOE ne ha guadagnati due, la sinistra radicale ne ha persi quattro. Se sommiamo ora i 122 seggi del PSOE ai 31 di Sumar arriviamo a 153 seggi. Anche per la sinistra non ci sono i numeri per governare.

Attenzione però, sotto il rispetto della psicologia politica la destra, che si sentiva già di casa alla Moncloa, ha preso una batosta non facilmente metabolizzabile. La sinistra, che viceversa avvertiva i segni non solo della sua cacciata all’opposizione, ma anche di una crisi devastante, sta ora in uno stato di euforia. E già, perché non solo la destra non ha i numeri per governare, ma potrebbe averli proprio la sinistra. Se sommiamo infatti i seggi presi dalle quattro forze politiche principali, arriviamo a 322 seggi su 350. A chi sono andati i 28 seggi restanti nel Congresso? Ai partiti locali. E qui dobbiamo tornare al sistema elettorale.

Nessuna delle liste territoriali ha infatti raggiunto il 3% dei voti su scala nazionale, ma nelle singole province sì. Quindi sono scattati 7 seggi per ciascuna delle due liste catalane, 5 e 6 alle due liste basche, e gli ultimi tre a deputati delle Canarie, della Galizia e della Navarra, uno per ciascun territorio. Orbene, buona parte dei deputati territoriali pare disponibile ad appoggiare un nuovo governo Sanchez invece che un governo di destra. E già, perché sia il PP che Vox sono su posizioni centraliste, mentre la sinistra, pur se ostile all’indipendenza di Catalogna e dei Paesi Baschi, è più attenta alle ragioni autonomistiche.

Prima lezione spagnola e prima differenza dall’Italia dunque: le forze politiche identitarie locali della Spagna sono state determinanti per frenare l’ascesa della destra, al contrario in Italia è proprio la destra ad essere più attenta all’autonomismo regionale, mentre la sinistra è su posizioni centraliste.

Seconda considerazione, da approfondire da parte di analisti specializzati, se vorranno cimentarvisi. Vox ha replicato le campagne elettorali di Trump e della Le Pen, infarcite di ideologie sovraniste ed antieuropee e supportate da fake news e stravolgimenti della realtà propagati via social: dalle fobie no-vax al negazionismo ambientale, a vagheggiamenti filo-putiniani. Anche questa è una diversità sostanziale dal posizionamento della destra italiana, di FdI in particolare; ancorché la nostra Premier lo scorso 13 luglio sia andata a sostenere in una pubblica manifestazione proprio Vox. In verità anche la Meloni, quando era all’opposizione, aveva ammiccato ai no-vax ed ai negazionisti del surriscaldamento climatico, come anche agli antieuropeisti. Non a Putin però. Anzi, da quando ha preso una posizione netta pro Ucraina non solo è andata man mano distanziandosi dalle fandonie di cui qui sopra, ma ha conquistato anche il governo dell’Italia e con esso una posizione di assoluto prestigio e peso politico in Europa.

C’è di più, quando Trump, tra il ‘16  ed il ‘17, avvalendosi anche dei servizi di un tale sig. Evgenij Viktorovič Prigožin col suo Internet Research Institute oltre che di Cambridge Analytica, impostò la sua vincente campagna elettorale contro Hillary Clinton sulle fake news populiste, colse di sorpresa gli ambienti democratici. Per alcuni anni poi, tali strategie comunicazionali si rivelarono efficaci anche in Europa Occidentale e sembravano incontenibili. Dal voto in Francia dello scorso anno a quello di midterm negli USA sembra ora che il campo democratico sia riuscito a trovare le contromisure per neutralizzare la diffusione di notizie false, spesso addirittura assurde, spacciate in rete come verità incontrovertibili che i ‘potenti’ terrebbero nascoste al popolo.

Se così fosse, se cioè la cyber security dei governi e dei partiti fosse riuscita a trovare il modo di contrastare la diffusione e penetrazione nelle coscienze di frottole tanto aberranti quanto strumentali, sarebbe un vantaggio non per la sinistra contro la destra, ma per la democrazia in se stessa, che non può reggere a lungo se gli elettori non riescono a distinguere la realtà dalle fantasticherie, la verità dalle falsità.

 

 

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