il Quotidiano di Salerno

direttore: Aldo Bianchini

SIMONETTA: era il 29 di maggio di trentuno anni fa !!

Aldo Bianchini

CAVA de’ TIRRENI – <<Nel pomeriggio del 29 maggio 1982, un tranquillo pomeriggio di primavera inoltrata, il pubblico ministero Alfonso Lamberti lascia la Procura della Repubblica di Salerno e ritorna a casa poco dopo le ore 14.00=.  E’ stressato, conduce una vita ai limiti della sopportabilità, è titolare di numerose inchieste giudiziarie molto delicate e in quel periodo sta cercando di dare una svolta alle indagini per il sequestro del banchiere Mario Amabile, rapito la sera del 2 novembre 1977 a Vietri sul Mare mentre faceva ritorno verso Cava de’ Tirreni dove aveva fondato il Credito Commerciale Tirreno. Per questa ragione era entrato in contatto diretto con alcuni “pentiti” dei clan camorristici dell’epoca. Quel giorno preferì abbandonare qualsiasi scorta, doveva e voleva andare al mare con la figlioletta Simonetta, anche contro il parere della moglie. E così fece. Ma sulla strada del ritorno si accorse di essere seguito da un’auto bianca che non lo mollava lungo tutta la salita da Vietri verso Cava, non diede molto peso al fatto anche perché solitamente su quel tratto di strada le macchine seguono altre macchine. Ma quel giorno non fu così. All’altezza della pizzeria “L’Aquila d’oro”, all’ingresso di Cava poche centinaia di metri dopo la chiesa di San Francesco, quella macchina bianca lo affianca e un killer esplode diversi colpi d’arma da fuoco verso il magistrato che viene attinto al capo, poco sopra l’orecchio sinistro, sviene, si riprende, pensa al radiatore scoppiato, si accorge che la figlia sanguina, poi più nulla, le grida della gente gli rimbombano nelle orecchie, infine si veglia quando è già nel pronto soccorso dell’ospedale di Cava de’ Tirreni, la tac non c’è o non funziona, viene trasportato a Salerno nei laboratori del Cedisa a Capezzano per l’esame al cranio. E la figlia ? Sa di averla perduta ma non vuole crederci, non può crederci, i medici di Cava gli nascondono la verità, gli dicono solo che Simonetta è stata trasportata a Napoli al Cardarelli dove in effetti è stata trasportata ma già in condizioni disperate.>>. Questa in rapida sintesi la vicenda ovvero la nuda cronaca di quel pomeriggio. Ma cosa può cambiare in tanti anni nella vita di un uomo, cosa cambia in realtà nella vita di un uomo, dell’uomo Alfonso Lamberti (già magistrato d’attacco e docente universitario di prima fila) ? Niente, assolutamente niente. Perché ? Perché la vita di quell’uomo, di Alfonso Lamberti, si è fermata per sempre in quel lontanissimo pomeriggio di maggio del 1982, semplicemente perché gli è stata tolta da mani criminali il fiore della sua vita: Simonetta, una splendida fanciulla di 12 anni  con i riccioli biondi. In quell’uomo, dentro quell’uomo, Alfonso Lamberti, rimane solo il rimpianto di non aver potuto fare nulla, rimane la rabbia di quel momento di assoluta impotenza, rimane la profonda amarezza dell’incomprensione che tutti (amici e avversari) gli hanno dimostrato nel corso di questi ultimi trentuno anni. Molto probabilmente lo stato d’animo di profonda ed irrefrenabile prostrazione del “giudice onnipotente” che inquisiva a destra e a sinistra, del “giudice senza paura” che poteva tutto e che tutto gli era dovuto, non è stato capito nemmeno dai suoi familiari più stretti e, forse, anche dai suoi figli. Ecco, forse ciò che rimane di più in quell’uomo ed in quel giudice è “la paura”, la paura che ha comunque provato in quell’orribile pomeriggio di primavera avanzata, la paura dell’intoccabilità perduta, la paura di sprofondare sempre di più nel baratro infinito dell’oblio, la paura di non poter essere mai perdonato anche se quel giorno non aveva alcuna colpa e negli anni precedenti, in definitiva, aveva fatto soltanto il giudice con la passione che dovrebbe contraddistinguere tutti gli uomini della legge. Ma una cosa lo accompagna e lo divora da quel giorno, la paura di non farcela, di non essere in grado, di non avere tutti gli strumenti necessari per arrivare alla verità vera prima di lasciare per sempre questo mondo. Tutto quello che è accaduto dopo quel terribile pomeriggio, la ricerca affannosa degli assassini, i compromessi, le ingiuste accuse, le inchieste giudiziarie, la carcerazione, l’allontanamento dall’insegnamento universitario è stata la fatale e brutale conseguenza di quell’atto omicidiario portato avanti da mani assassine e insanguinate. Quando penso ad Alfonso Lamberti lo immagino sempre solo, chiuso in una baracca di metallo (tipiche dei cantieri edili), sdraiato su un pagliericcio in attesa di un appuntamento con chi gli ha promesso di dirgli qualcosa sui mandanti degli assassini di sua figlia, mentre numerosi topi di campagna salgono e scendono dal suo letto improvvisato. Per questo, proprio per questo, in tutta onestà, a distanza di trentuno anni, mi sento di dire che tutti hanno sbagliato tutto e che tutti si sono fatti scudo degli errori, pur grossolani, commessi da Alfonso Lamberti negli anni successivi. Avevo seguito negli anni 60 e 70 le sue azioni giudiziarie temerarie, avevo letto e riletto le sue esternazioni contro le famiglie camorristiche dell’agro nocerino-sarnese, avevo condiviso lo stringente assedio che aveva posto intorno alla Pubblica Amministrazione, soprattutto nell’ambito della sanità pubblica, avevo anche sentito delle sue  durissime posizioni contro altri “sostituti procuratori” di quella Procura che Alfonso Lamberti riteneva, a torto, un po’ sua; non immaginava mai che proprio da quella Procura sarebbe partito l’ordine di cattura in suo danno nel 1993, appena undici anni dopo la barbara uccisione della sua figlioletta. Insomma, almeno fino al gennaio 1983, mi ero fatto un quadro di “Fonzo a’ manetta” (così lo chiamavano negli ambienti giudiziari e giornalistici dell’epoca !!) un po’ romanzato, mi appariva come una sorta di novello Don Chisciotte della Mancia” (El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) dello scrittore spagnolo Miguel de Cervantes Saavedra. Ma la sua azione moralizzatrice della “cosa pubblica”, già allora degradata, mi piaceva, non lo nego, e silenziosamente speravo che non mollasse mai. Poi nel gennaio del 1983 lo conobbi direttamente.  In una fredda mattina lo andai a trovare nella sua stanza-bunker presso la Procura di Sala Consilina; mi accompagnò un suo carissimo amico, Francesco De Robbio (già arbitro di calcio della serie “A” e in quel momento ai vertici della CAN nazionale) che il giudice amabilmente chiamava “don Ciccio” per via della sua scanzonata passione per il calcio che lo aveva portato prima ai vertici della Cavese ed poi alla pubblicazione di libri sul mondo del pallone con l’apoteosi de “Il giudice nel pallone”. Ci accolse in lacrime, piangeva come un bambino indifeso, quasi come un pulcino bagnato, ed era già passato un anno da quel feroce attentato; la tempra di duro magistrato, di uomo di cultura, di padre di famiglia si sciolse come neve al sole e il pianto continuò per molti minuti, stretto nelle braccia del suo amico Ciccio. Mi serviva e gli serviva una piccola cortesia, una banalità di fronte al gigantesco mare dello sfascio che in quegli anni circondava la società civile e, quindi, circondava anche noi. Da quel momento, di tanto in tanto, lo incontro per fare due chiacchiere come tra vecchi amici; non mi ha mai sfiorato l’idea di lasciarlo solo, di non dargli ascolto, di non seguire (ancora oggi !!) le sue intuizioni investigative e le sue piste che dovrebbero portare, secondo lui, ai veri mandanti del criminale assassinio di Simonetta. Lui, Alfonso Lamberti, è tuttora “magistrato dentro”. Non è vero che seppe soltanto il giorno successivo della morte della figlia, come ha scritto qualche giornale; lo capì subito, al primo odore di polvere da sparo quando ancora sperava che fosse scoppiato il radiatore, lo somatizzò quando disteso sulla barella nel pronto soccorso dell’ospedale di Cava de’ Tirreni, stretto tra i suoi amici medici, chiese dove fosse la figlia Simonetta e nessuno ebbe il coraggio di dirgli la cruda verità. Gli rifilarono la bugia più brutta: “E’ al Cardarelli di Napoli, Alfò devi stare tranquillo, sei ferito, ma tutto è sotto controllo”. Sperava ma non ci credeva, lo sapeva benissimo. “Ti rivedo, amor mio, rispuntare dalla strada: il cappotto bordeaux troppo corto, i tuoi biondi capelli così splendenti, il fagotto di libri troppo pesante; la mano tesa dell’addio”, questo il grido angoscioso ed assordante che gli penetra nelle orecchie ogni giorno, ogni istante della sua vita terrena. Così come gli risuona drammatica la notizia che uno dei possibili mandanti del brutale attentato, Salvatore Di Maio detto “Tore o’ guaglione”, uno dei più freddi e feroci killer della storia della camorra, da qualche tempo è libero di circolare in seguito alla sua scarcerazione incredibile quanto immotivata, non tanto e non solo per l’omicidio di Simonetta ma per i numerosi omicidi commessi dentro e fuori l’ambiente camorristico dell’agro, dalla Campania fino al Sud America. Conosco troppo bene l’uomo Alfonso Lamberti per non pensare e credere che questa notizia non gli abbia procurato dolore immenso ed inarrestabile. Ma non può fare niente, ha dalla sua solo la rabbia dell’impotenza, proprio lui che ha dettato legge con la legge e dentro la legge. Una speranza, comunque, ce l’ha: Simonetta da lassù non lo ha mai lasciato solo come quaggiù hanno fatto in tanti, forse tutti.

2 Commenti

  1. La ia solidarietá al mio Prof di Antropologia Crimnale ed alla sua famiglia.Certi dolori si attaccano sulla pelle….e restano per tutta la vita! La lotta alla camorra ed alla malavita purtroppo non è mai stata compatta.

    • 31 anni fa la nostra vita, come famiglia, ha cessato di esistere. Da allora mai più niente come prima. Dolore, rimpianti, ricordi, amarezza e soprattutto solitudine… La morte di un figlio è qualcosa di tremendo che anche il linguaggio rifiuta. Perché non c’è un termine che dica di un genitore privato del proprio figlio, come invece c’è per un figlio privato del genitore. E’ contro natura, soprattutto quando la propria creatura viene stroncata spietatamente. Ma è qualcosa di ancora più tremendo quando il dolore devi viverlo da sola, madre “sfigliata” che non sa a chi ancorarsi.
      Ma bisogna continuare, perché la vita per te non si ferma, perché ci sono gli altri figli, disorientati più che mai, perché bisogna lavorare, perché hai una dignità da salvaguardare…
      E così passano gli anni. Ormai sono 31. Ma sembra sempre ieri ed il dolore rimane intatto, nel fondo del tuo cuore e della tua mente. E sempre il mese di maggio, con i fiori e il sole, porta con sé l’immagine di una bimba simile a fiori d’oro viva solo nel ricordo di chi l’amava

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