I briganti di Padula

 

Aldo Bianchini

PADULA – E’ stata senza ombra di dubbio una bella serata di cultura quella celebrata a “casa Padula” (non nuova a questi appuntamenti) domenica 7 agosto 2016. Si è parlato di “brigantaggio”, quel fenomeno che cavalcò quasi un quarto del 19° secolo tra ombre profonde e chiarori scoppiettanti. Ancora oggi, difatti, si discute sulla vera identità del brigantaggio e sulla sua reale collocazione storico-politica nel contesto di una società che stava avvicinandosi alla seconda rivoluzione industriale per trasformarsi da imperialismo in democrazia partecipata; ci vorranno, è vero, ben due guerre mondiali e molti decenni ma le grandi ed epiche trasformazioni hanno bisogno di tempo per la loro affermazione; e sono avvenute anche grazie a quel fenomeno tuttora discusso. Sulla vera identità di quel fenomeno, legato alla presenza di “briganti” non solo al sud ma su tutto il territorio nazionale, si è discusso ovviamente anche l’altra sera con la teorizzazione di alcune linee di pensiero, profondamente diverse tra loro. Alla base della discussione la presentazione pubblica del libro-ricerca “Padula 1861-1877: una storia del brigantaggio meridionale” ottimamente confezionato dallo storico Miguel Enrique Sormani. Già dal titolo si intuisce che quel fenomeno non può essere circoscritto al meridione d’Italia, difatti l’autore opportunamente titola “una storia” e non “la storia” del brigantaggio meridionale; segno questo che, come già detto, il brigantaggio fu un fenomeno che attraversò e segnò profondamente un bel pezzo della storia italiana a cavallo tra la rivoluzione francese e la prima e seconda rivoluzione industriale; un secolo fatto di grandi cambiamenti epocali con le masse contadine che contribuirono notevolmente alla trasformazione della società da “rurale e dominata imperialisticamente” in quella “urbana che si avvicinava alla democrazia partecipata”. Impossibile, quindi, considerare il movimento del brigantaggio un fenomeno soltanto delinquenziale, come ha cercato di accreditare all’attento uditorio l’on. Enzo Mattina che non è riuscito, a mio avviso, a definire e giudicare nella sua enorme complessità quel groviglio di interessi politico-industriali che stava cedendo terreno sotto i colpi incalzanti della media e bassa borghesia. Quando si parla di briganti non si può parlare soltanto di delinquenti; un simile ragionamento è assolutamente riduttivo rispetto ad un fenomeno che, seppure breve e complesso, aveva gettato le basi per lo stravolgimento dell’ordine regimentato della civiltà fino ad allora conosciuta. Del resto la nascita delle “società operaie” di quegli anni mettevano in risalto il sottofondo politico-economico delle stesse protese nel tentativo di disciplinare e incanalare, da Sala Consilina a Padula, da Polla a Sant’Arsenio e da Monte San Giacomo a Sassano, quelle profonde lacerazioni che l’azione arrembante, e forse anche delinquenziale, dei briganti infliggeva al tessuto ormai logoro di una società complessiva che per forza di cose stava mutando pelle. Per tutte queste ragioni ho apprezzato moltissimo la relazione (forse la migliore in assoluto !!) tenuta dall’avvocato Emilio Sarli (presidente del Caffè Letterario “Il Meridiano”) che nel passare al setaccio il fenomeno del brigantaggio e nel collocarlo nella sua giusta dimensione sociale si è discostato di molto dalla linea di pensiero di Mattina. Una relazione, quella di Sarli, che condivido pienamente perché risponde sicuramente ai canoni con cui è necessario inquadrare quel fenomeno in un momento storico politico che, come dicevo, ha accompagnato quasi per mano una rivoluzione epocale al cui confronto impallidiscono anche le due guerre mondiali e tutti i movimenti rivoluzionari pre e post unificazione dell’Italia (come ha detto il prof. Carmine Pinto, docente di storia contemporanea). Oltretutto la relazione di Sarli ha avuto il pregio di mettere in evidenza non solo i risvolti politico-economici di quel fenomeno ma anche le sue precise connotazioni storico-culturali nell’ambito di un fenomeno che, seppure con le iniziali radici pseudo delinquenziali, ha avuto il merito di segnare profondamente l’intero diciannovesimo secolo anche dal punto di vista delle lotte popolari che alcuni sapienti cervelli dell’epoca incanalarono verso la liberazione e l’unificazione di tutto il territorio nazionale. Del resto il fenomeno del brigantaggio, ha detto sempre Sarli, è stato ampiamente analizzato al microscopio dalle numerose sentenze giudiziarie che in quel tempo scrissero se non la vera storia almeno quella più vicina alla realtà.

E se è vero che le sentenze non fanno la storia è pur vero che le sentenze analizzano al dettaglio tutti gli elementi che, poi, daranno luogo alla storia; da qui il senso di permissivismo che promana dalle stesse sentenze e che, pur nello loro durezza, hanno concesso quasi l’onore delle armi ad un fenomeno che, per questo, non può essere considerato solo delinquenziale. Tanto è vero che la legge antibrigantaggio, con la sospensione di tutti i diritti civili, ebbe vita molto breve perché giudicata di gran lunga peggiore del brigantaggio stesso da uno Stato forte e consolidato nella sua identità. Un po’ come è accaduto con il nostro terrorismo, tra BR e NAR, che mise lo Stato in una situazione di difesa ad oltranza e che diede la stura a numerose leggi repressive; leggi che (contrariamente al 19° secolo) non sono state mai soppresse e che sono state, invece, trasportate in toto nella lotta contro la delinquenza comune ed organizzata di questi ultimi decenni. Nell’accostamento tra brigantaggio e terrorismo c’è sicuramente poco di storico (ma io non sono né storico e né politico !!) ma c’è tanta realtà con un valore aggiunto nei riguardi del brigantaggio che, seppure sconfitto ed annullato, riuscì comunque a vincere la sua battaglia che evidenziava numerosi bagliori di libertà e forse anche di democrazia partecipata. Nessun accostamento è possibile tra il brigantaggio e la mafia o la camorra oppure la ‘ndrangheta; le radici e i fini dei due fenomeni sono completamente ed assolutamente diversi nella loro accezione storica, e questo lo ha confermato anche il prof. Pinto nella sua brillante esposizione storico-culturale del lungo lasso di tempo che va dalla fine della rivoluzione francese fino ai giorni nostri. L’affollata platea di “casa Padula” è stata salutata dall’assessore comunale alla cultura Filomena Chiappardo e dal bravo presidente del circolo culturale “Nova CivitasGianfranco Cataldo. Non è mancato, infine, il saluto del padrone di casa, Enrico Padula (diplomatico e studioso di storia).

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