Disumano, troppo disumano!

di Michele Cavallo (scrittore)

MONTE S.G. – Durante la mia esperienza lavorativa, ho avuto modo di partecipare anche ad alcuni tirocini presso imprese locali. La totalità di queste esperienze si è conclusa quando è terminato il tirocinio stesso, finanziato da qualche ente che in definitiva faceva capo comunque alla regione. Nel momento stesso in cui il tirocinio avrebbe dovuto trasformarsi in assunzione (e quindi assoggettato agli oneri dell’impresa) il rapporto si concludeva, nella migliore delle ipotesi, con una stretta di mano ed un “ci risentiremo, magari a breve”.

E’ indiscutibile che chi lavora in proprio ha delle difficoltà non indifferenti ad assumere, visto soprattutto il regime fiscale che vige attualmente in Italia. Prova ne è il fatto che il Jobs Act ha ottenuto dei risultati fin quando le imprese hanno ricevuto gli sgravi fiscali previsti.

Parlando con alcuni proprietari di piccolissime aziende infatti, ho capito che per loro è molto meglio e conveniente avere un “collaboratore” con partita Iva che un dipendente, anche solo a tempo determinato.

Non sono bravo a dare soluzioni politico-economiche al governo anche perché ne ho sentite negli anni di tutti i colori da eccellenti economisti, ma non mi sembra che siano state ascoltate ne, quando lo hanno fatto, abbiano sortito gli effetti desiderati.

Sembrerebbe che meglio di così non possa andare.

Resta una situazione precaria, al limite della sopravvivenza, “una competizione” fra il dipendente che non ha più nulla da spendere ed il datore di lavoro che non ha più nulla da dare.

Concetti come la  “libera impresa”, lo “spirito imprenditoriale”, “il recupero dell’efficienza” e la “tutela della conoscenza”, che nel 1947 presero vita grazie al caro estinto Piano Marshall, hanno trovato in seguito poco spazio in questo “Capitalismo Fondamentalista” che svolazza indisturbato sopra le nostre teste e che ormai non ha nulla più a che fare con i concetti di Capitale (contro il quale nemmeno Marx era contrario, leggete bene per credere!) e Globalizzazione sviluppatesi inevitabilmente grazie ad un mondo sempre più tecnologico ed aperto.

Ovviamente non si può tornare indietro al 1947. C’è poco da ricostruire e non siamo nel dopoguerra. E’ indiscutibile però che un’altra guerra stiamo combattendo. Il capitalismo è diventato esclusivamente avidità finanziaria e consumismo.

Se la gente però, la maggior parte della gente (ovviamente non tutti), ha poco o nulla da consumare, a cosa serve una società basata sul consumismo?

Sia chiaro, ogni individuo ha la possibilità di sottrarsi a questo gioco del “HABEO, ERGO SUM”, ma è sempre più difficile capire come e quando si è fuori, bombardati da una marea di messaggi più o meno subliminali. Per questo quindi molti di noi si fanno trascinare dalla corrente senza saperlo.

I piccoli imprenditori nostrani (con rarissime eccezioni) se vogliono “tirare avanti”, devono ridurre il personale e sottopagare quei pochi “eroi” che resistono. Chi resiste deve lottare per portare un piatto caldo a casa dove lo aspetta una TV che gli propone uno smartphone caro più del suo stipendio mensile, ma che il figliolo di 12 anni pretende di possedere (“perché ce l’hanno tutti i suoi amici”).

Ripeto, non ho grandi risposte, ma piuttosto una sensazione: fino a che ognuno penserà a come “arrotondare” per conto suo (imprenditori e dipendenti) non si cambierà nulla, almeno strutturalmente. Ci vogliono “visioni” a lungo termine e unione d’intenti.

Sono pessimista perché queste due caratteristiche non le trovo né tra i nostri politici, né tra i nostri imprenditori, né nella concreta azione del singolo individuo.

Tutti quanti tendono, grazie ad una trasformazione (voglio osare, non me ne voglia Darwin!) antropologica, più a restare “singoli” e guardarsi la punta del naso  che piuttosto ad unire le proprie forze e guardare la Cima del Monte. Tutti molto più propensi a sopraffare qualcun altro in virtù dei propri interessi personali.

E, visto che parlo di unione di intenti, non posso, solo con una citazione, non coinvolgere la nostra Unione per antonomasia:

“ L’Europa è troppo grande per essere unita. Ma è troppo piccola per essere divisa. Il suo doppio destino sta tutto qui.” (Daniel Faucher)

Mi raccomando dopo tutto questo pessimismo non fatevi venire brutte idee. Il peggio deve ancora arrivare!

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