UNIVERSITA’: le motivazioni della sentenza di appello sulla morte di Francesca

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Nei precedenti articoli scritti su questa dolorosa vicenda, la morte di Francesca Bilotti nel terminal bus dell’Università nella mattinata del 24 novembre 2014, ho già chiarito che l’autista del bus Pietro Bottiglieri  (condannato prima a quattro anni e otto mesi di carcere e poi, in appello, a due anni con pena sospesa per gli effetti anche, e non solo, del rito abbreviato) ha comunque una parte della colpa. Come spesso accade, quando si parla di giudiziaria, alla fine purtroppo ho avuto ragione a ragionare per approfondire tutti gli aspetti della triste vicenda. Difatti i giudici d’appello (Francesco Verdoliva, Silvana Clemente e Mariella Ianniciello), come sempre più spesso accade hanno sicuramente imboccato la strada della parziele colpevolezza dell’imputato ma salomonicamente hanno scelto la via di mezzo tra la pubblica accusa e la difesa. La frase delle motivazioni che prendo a base del discorso è significativa: “”Pur volendo ritenere che la Bilotti fosse stata poco prudente nell’attraversare un’area destinata al transito e alle manovre dei pullman, non servendosi degli spazi riservati ai pedoni, detto profilo di colpa, in una valutazione complessiva degli elementi acquisiti, non può in alcun modo assumere valore assorbente sminuendo affievolendo il grado di colpa del Bottiglieri che è e rimane pur sempre connotato da particolare gravità””. Questo nell’esercizio filosofico del diritto-dovere di decidere, nei fatti hanno sposato la tesi del concorso di colpa anche se non lo hanno esplicitamente riconosciuto. Non mi permetto di entrare nell’esame delle esternazioni dei familiari di Francesca, esternazioni che a tratti appaiono più come giustizialiste che come richiesta di giustizia, soprattutto quando dicono ““L’assassino e il difensore sono vergognosi, arroganti. Siamo troppo arrabbiati. Il pg che si occupava della nostra difesa nel processo di appello si dovrebbe vergognare. Dopo un omicidio, anche il regalo di Sita Sud al figlio. Si sono arrampicati sugli specchi fino all’ultimo. Irrispettosi. Quell’assassino ha anche osato guardarmi negli occhi senza abbassare lo sguardo. Come potrà alzarsi la mattina e guardarsi ancora allo specchio?””. Di fronte ad una simile tragedia è giusto e doveroso il silenzio di chi osserva per scrivere ma non si può certamente far passare Bottiglieri per un qualunque criminale arrogante, irrispettoso, inconsapevole e reo di essersi permesso di chiedere il “concorso di colpa” a carico della malcapitata Francesca. Queste cose appartengono alla logica delle schermaglie processuali tra accusa e difesa; certo, è facile parlarne da una posizione disinteressata come la mia, altra cosa è quella di chi deve piangere un congiunto per sempre. Il sistema, però, è questo e soltanto per questo il procuratore generale in appello ha tentato di parlare di giustizia e non di giustizialismo. Che l’autista Pietro Bottiglieri sia “un colpevole” non c’è dubbio, ma che sia “il colpevole” al cento per cento è azzardato affermarlo. Ma al di là della presumibile distrazione di Francesca (la distrazione è umana !!) ho scritto spesso che almeno altri due momenti della vicenda sono stati lasciati cadere nel buio e nella dimenticanza del tempo: l’incidenza della confusione che a bordo dei bus creano gli studenti e l’eventuale valutazione della pur palese responsabilità degli addetti alla sicurezza dell’ateneo. E’ notorio che gli studenti affollano i pullman e che sui pullman salgono molti più ragazzi di quanto potrebbero prendere posto; e ancora, a bordo dei bus in arrivo si crea una confusione totale con tutti i ragazzi in piedi e chiassosi, fatto questo che avrebbe potuto scalfire la serenità della guida ed avrebbe in particolare impedito la giusta visione di eventuali presenze dal finestrone posto in basso alla destra dell’autista. Nessuno ha risposto su chi ricade la responsabilità dell’eccessivo carico dei bus, e non possiamo pensare che debba ricadere solo sugli autisti senza rischiare che da domani tutti i bus si fermino con notevoli disagi e anche rivendicazioni. E’ notorio anche che il terminal bus è stato rifatto ed adeguato alle nuove norme sulla sicurezza e se ciò è avvenuto bisogna prendere atto che prima dell’incidente occorso a Francesca (e prima ancora ad un’altra vittima !!) il terminal non era ai giusti livelli di sicurezza per persone e cose. E allora di chi la colpa? Perché l’inchiesta non si è allargata anche sotto questi aspetti non trascurabili ? Ribadisco questi concetti perché li ho già scritti e, addirittura, inviati per doverosa conoscenza alla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore (competente per territorio), purtroppo contro il “totem università” non c’è stato niente da fare. E se niente è accaduto sotto il profilo giudiziario c’è stato, però, l’ammodernamento del terminal bus. Una frase, tra le tante pronunciate dal padre di Francesca, mi ha particolarmente colpito: “Ciò che non sopporto è che il giudice che doveva difenderci in appello abbia esordito dicendo che qui si deve fare giustizia e non giustizialismo. Forse non era la loro figlia. Quel giudice avrebbe dovuto fare i nostri interessi”. Capisco benissimo il dolore di un padre ma qui qualcuno dovrebbe anche avvertire il dovere di spiegargli che i giudici non fanno gli interessi di parte, di nessuna parte e che anche il p.m. dovrebbe sempre andare alla ricerca degli elementi in favore e non soltanto a carico. Anche se tutto questo spesso non accade non mancano gli episodi che illuminano il duro lavoro dei magistrati; l’esempio l’ha fornito il p.g Renato Martuscelli (assolutamente non nuovo a richieste maturate su ragionamenti dettati dalla logica oltre che dalla legge) che nel processo a carico di Bottiglieri, con lucida disamina, ha cercato di riportare la discussione nell’alveo dei fatti realmente accaduti; per questo non deve assolutamente vergognarsi (come sostiene il papà di Francesca) e tutti dovremmo sentirci più tranquilli di fronte ad un giudice che fa il giudice a tutto tondo.

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