Mastrogiovanni: la condanna degli infermieri

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Che il caso tragico che ha coinvolto il professore Francesco Mastrogiovanni portandolo alla morte fosse un caso molto complicato lo si sapeva fin da quando la sua morte, presso l’ospedale di Vallo della Lucania, fu annunciata tra silenzi e misteri. Del resto la stessa vita di Mastrogiovanni è stata tutta complicata e complessa a partire da quel maledetto 7 luglio 1972 quando fu ucciso in Via Velia a Salerno il giovane fascista Carlo Falvella, Mastrogiovanni era lì, era in quel gruppo che si scontrò con il gruppo di Falvella ed era lì nel momento in cui Falvella fu accoltellato a morte da Giovanni Marini. Le cronache raccontano che lo stesso Mastrogiovanni rimase ferito in quella rissa mortale. Poi la vita di Mastrogiovanni, un anarchico radicalizzato nelle sue idee, è continuata per alcuni decenni fino a quando il 4 agosto 2009 ricompare sulla scena della cronaca perché muore dopo il ricovero di quattro giorni nel reparto psichiatrico di Vallo in seguito ad un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) firmato dall’allora sindaco di Acciaroli Angelo Vassallo. La motivazione, quasi irrisoria, fu il perpetrarsi di schiamazzi notturni da parte del professore ormai in preda a crisi depressivo-isteriche molto frequenti. Aveva 58 anni e molti dei suoi anni li aveva vissuti con l’incubo dei Carabinieri, aveva paura di loro che lo avevano fermato la sera del 7 luglio del 1972, gli era rimasto dentro il terrore. Gli inquirenti hanno calcolato che l’agonia di Mastrogiovanni, legato sul letto di contenzione, durò all’incirca 78 ore dopo essere stato letteralmente abbandonato a se stesso dai medici e dagli infermieri. Furono le immagini delle telecamere di videosorveglianza a mostrare come il maestro fu trattato nei quattro giorni di ricovero. Legato mani e piedi al letto, digiuno e solo, senza che nessuno si preoccupasse di nutrirlo. Medici e infermieri dell ‘ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania finirono sotto accusa. Un trattamento “disumano” lo definirono all’epoca i parenti ma anche i semplici osservatori. La sentenza in primo grado fu emessa dal Tribunale di Vallo il 30 ottobre del 2012 con l’assoluzione degli infermieri e la condanna dei sei medici a pene variabili. La sentenza di appello è arrivata il 15 novembre 2016 con la parziale riforma della condanna dei sei medici a pene più lieve e la condanna degli undici infermieri che in primo grado erano stati tutti assolti. L’8 marzo scorso sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di appello e in molti hanno gridato alla sorpresa per il fatto che in appello siano stati condannati gli infermieri assolti in primo grado. Semmai la sorpresa doveva essere attribuita al giudice del primo grado che non aveva tenuto in sennun conto l’evoluzione della professione di infermiere passata in pochi decenni da una qualità molto scadente (spesso la politica prelevava i soggetti in campagna e la mattina successiva li proiettava in corsi !!) è assurta ad una vera e propria categoria a se stante, con tanto di organizzazione interna che non ha nulla a che fare con i medici. In pratica oggi gli infermieri sono quasi tutti professionalizzati e dotati almeno di laurea breve. L’infermiere, dunque, a cominciare dal capo-sala è un’entità a se stante che deve anche interferire con il lavoro dei medici nei casi in cui si renda conto che la procedura sanitaria è sbagliata. Per quanto riguarda, poi, il caso specifico della morte di Mastrogiovanni va anche aggiunto che furono proprio gli infermieri ad avere la possibilità e il compito di osservare per più tempo, durante quelle drammatiche 78 ore, il paziente legato sul letto e visibilmente morente. E molto giustamente nelle motivazioni della sentenza di appello9 si legge: “È vero piuttosto che l’assenza di ogni annotazione in cartella della contenzione era un elemento oggettivamente tale da ingenerare negli infermieri quantomeno un fondato sospetto sulla liceità del trattamento soprattutto in considerazione della sua lunga durata”. Ciascun infermiere avrebbe dovuto rappresentare al medico, che andava ad orari in visita al paziente,  le sofferenze di Mastrogiovanni. La Corte di Appello ha smantellato, quindi, la concezione dell’infermiere come soggetto tenuto alla mera esecuzione degli ordini superiori. Qualche anno fa, subito dopo la sentenza di primo grado, avevo già scritto su questo stesso giornale quello che soltanto alcuni anni dopo una Corte di Appello ha riconosciuto; la responsabilità oggettiva degli infermieri era praticamente scritta nelle carte ed è strano che il giudice monocratico del tribunale di Vallo della Lucania nel 2012 non tenne conto della mutazione che la categoria degli infermieri ha subito negli ultimi decenni. Ora bisognerà attendere l’esito dei ricorsi per Cassazione che sicuramente non mancheranno. E la storia continua.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *