GIUSTIZIA: Indagini a luminosità crescente ?

Aldo Bianchini

SALERNO – “Indagini a luminosità crescente ?”; se dovessi rispondere a questa domanda il mio compito sarebbe facilissimo: “SI”, e aggiungerei che in questo Paese non solo le indagini preliminari, perché di questo si tratta, sono a luminosità crescente ma sono anche, se non soprattutto, ad “interesse tracimante”, intendendo per interesse (è bene chiarirlo !!) quella costante ansia di conquista del potere che spesso porta ad incontrollabili manie esibizionistiche di pessimo gusto.

            Il nuovo codice di procedura penale, che tanto nuovo comincia a non essere più perché è del 1989 e perché ha subito negli anni tumultuosi e mistificanti cambiamenti, viene molto spesso disatteso dai Pubblici Ministeri che per le loro indagini preliminari si muovono sempre e soltanto in un’unica direzione, cioè la ricerca degli elementi di colpevolezza dell’indagato e non anche le possibili prove a discarico.

            In questo discorso non c’entra niente la ormai vituperata “autonomia e indipendenza della magistratura” in funzione della presunta equidistanza nelle indagini in forza di quella famigerata “obbligatorietà dell’azione penale” che fa acqua da tutte le parti e fa ridere peggio del segreto istruttorio che da tempo è paragonabile al segreto di Pulcinella.

            Se alla voglia di conquistare il potere, se al desiderio di tracimare sempre dalla giustizia commutativa in quella distributiva, se all’altissima percentuale di reati contestati ad una fazione politica anzichè ad un’altra si aggiunge l’insano esercizio di un potere violento ed incontestabile si ha l’esatta percezione del livello non rassicurante della giustizia di questo Paese. Ed aggiungerei che questo è determinato, sempre e solo, dal livello parossistico della presunta indipendenza del P.M. rispetto al potere politico; un rapporto la cui correzione e/o migliore regolamentazione diventa sempre più difficile per via dell’abdicazione, senza condizioni, della politica dal legiferare con serietà e serenità.

            Su questo difficile e angoscioso argomento ha scritto, sul quotidiano Il Mattino di inizio agosto, molto efficacemente l’avvocato Cecchino Cacciatore (uno dei penalisti più affermati del Foro di Salerno e rampollo di una delle famiglie più prestigiose della città capoluogo) con una terminologia appropriata e calzante: “”Tra le patologie del nostro Paese, gravi forme di criminalità e illegalismi diffusi -sostiene Fiandaca-, vi è anche quella dell’uso dell’azione penale (quando cerca il rischio dell’esposizione mediatico-temporale, per la opinabile tempestività con la quale si manifesta) esponga a pubblici riti di degradazione morale e a incancellabili sospetti di colpevolezza per le persone indagate. Il fenomeno è stato icasticamente denominato da Amodio: indagini a luminosità crescente !! Apprendere del coinvolgimento di Bruno Contrada in una nuova vicenda giudiziaria, all’indomani puntualissimo della revoca della sua condanna per concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso, induce almeno una riflessione (non essendo abituati a giocare con le ombre, viene prediletta la luce della ragione). Cosa vuol dire notizia di reato ? Basta la possibilità o anche la semplice eventualità che un reato sia stato commesso o deve piuttosto trattarsi della conoscenza di un fatto (un fatto !!) che si connoti con evidenza per la sua plausibile assimilazione ad una condotta criminosa ? Sono interrogativi serissimi, i quali –lo spiega bene, ancora una volta, Fiandaca- trovano la soluzione nella concezione stessa che alla giustizia penale si voglia imprimere. L’auspicio è che dietro il pur doveroso, necessario ed ineliminabile controllo di legalità, non si celi il conato di controllo della virtù del Paese; compito che non spetta alla giustizia penale di uno stato democratico. Pena, è il caso di dirlo davvero, velenosi crucifigge di marca lombrosiana e metodi d’indagine sociologici  e pedagogici  a lancia libera contro i diritti e le garanzie. F.to: Cecchino Cacciatore””.

            Naturalmente Cecchino Cacciatore non affonda la lama nella piaga sanguinante, il suo ruolo di avvocato penalista glielo impedisce per definizione deontologica, ma il suo discorso è chiarissimo; soprattutto quando allude con argomentazioni incontestabili al rapporto tra pubblico ministero e stampa che è diventato talmente perverso da sfuggire, ormai, a qualsiasi controllo di legittimità a causa dell’assenza della politica da un discorso che, invece, in primis dovrebbe riguardare proprio lei. I ruoli di magistrato inquirente e di giornalista si sono talmente fusi e scambiati che non è più possibile trovare il bandolo della matassa e non si riesce più a capire chi fa da grancassa all’altro; orami conta soltanto l’evidenza e il clamore mediatico ed assistiamo quotidianamente alla celebrazione di processi in tv, dalla mattina alle 10 fino a tarda notte. Incredibile ma vero, ciò che accade da noi non accade in nessun altro Paese del Mondo.

            Il caso Contrada, pur nella sua drammatica esemplificazione giuridica, è forse soltanto il primo di una lunga serie che, in poco più di vent’anni, ci ha portati dopo tutti gli accanimenti berlusconiani all’evidente “caso Renzi” in  cui si è cercato di colpire uno degli uomini politici più forti di questi ultimi anni attraverso le presunte debolezze del padre e in cui due Procure (Napoli e Roma) si sono scontrate in maniera inverosimile, e quasi vergognosa, per l’affermazione del rispettivo potere.

            In questo scontro senza esclusione di colpi, e a tradimento, vengono calpesti “diritti e garanzie” (come dice giustamente Cecchino Cacciatore), proprio in uno Stato di diritti e garanzie come il nostro che è stato la culla del diritto per duemila anni circa.

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