ASPEC: quando la medicina è una passione

 

 

 

 

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – La location era suggestiva ed evocava tantissimi ricordi, la sala era quella delle conferenze di Soccorso Amico del mitico dr. Giuseppe Satriano (detto Pippo), il motivo dell’incontro era il 7° Convegno Socio- Scientifico dell’ASPEC (l’ Associazione Salernitana dei Portatori di Elettrostimolatori Cardiaci, fondata nel 2008 dal Dottor Andrea Campana insieme ad alcuni pazienti e loro familiari) e una sala gremita di gente nel segno di un successo a dir poco scontato. Come a dire che quando in campo c’è il dr. Campana tutto riesce molto più semplice e facile, tanto da attirare questa volta anche l’attenzione di diverse emittenti televisive private della città; il medico, leader locale dell’impiantologia del minuscolo strumento tecnologico che passa sotto il nome di PM (pace maker) e che ha salvato letteralmente la vita a migliaia di soggetti cardiopatici, con l’innata umiltà che lo contraddistingue da sempre non ha voluto dare la titolazione di “convegno puramente scientifico” preferendo quella più umana e comprensibile di incontro “socio-culturale”; e non è la prima volta.

            Perché ?

            Perché nella vita professionale il dr. Andrea Campana (già responsabile del dipartimento di elettrofisiologia cardiaca dell’ospedale Ruggi di  Salerno) ha messo al primo posto la passione, quella con la “P” maiuscola, quella che porta a fare il medico come mestiere al servizio degli altri; gli stessi principi Andrea Campana ha trasferito pari pari nella sua vita relazionare, sia con le migliaia e migliaia di pazienti che gli sono sfilati davanti, sia con la gente comune che si può incontrare al mercato o ad una festa popolare. Mai altezzoso, sempre disponibile; quando si parla con lui non si ha la sensazione di parlare con un medico, piuttosto con l’amico di sempre. Per dire queste cose mi assumo la responsabilità di dare voce ai tantissimi pazienti che non hanno la possibilità, come me, di scrivere pubblicamente quello che pensano. Anche io in passato ho avuto bisogno delle mani e del bisturi del dr. Campana; qualche anno fa trascorsi poco più di un’ora bloccato sul lettino operatorio e posso testimoniare la grande umanità del noto cardio-chirurgo salernitano. Ora il bravo professionista è in pensione, ma le sue mani continuano ad aiutare migliaia di fedelissimi amici-pazienti. Peccato che l’AOU (Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona) non abbia ritenuto di dover continuare a servirsi della sua professionalità anche dopo il naturale pensionamento; ma queste sono le cose incomprensibili del servizio sanitario nazionale (SSN) che proprio in questi giorni compie quarant’anni e che, manco a dirlo, ha offerto alla sanità privata la possibilità di festeggiare la ritrovata amicizia tra il primo trapiantato di mano (Emanuele Balbo) e il chirurgo (Landino Cugola) che l’ex falegname (ora imprenditore della sanità privata) ha voluto come direttore sanitario delle sue cliniche private.

            Dato questo doveroso contributo alla professionalità di Campana è giusto ritornare al “convegno socio-culturale”  andato in scena la mattina di sabato 24 febbraio 2018 nei saloni, come detto, di Soccorso Amico. Nel vedere sul palco, insieme, il dr. Campana e il dr. Satriano mi sono ritrovato a riflettere sul fatto che spesso la vita convulsa e nevrotica di oggi riesce, comunque, a mettere l’uno vicino all’altro due medici che hanno dato il meglio delle loro vite per il bene degli altri, al di là di ogni comprensibile difficoltà ed umana sopportazione.

            Parliamo, dunque, della settima edizione, che lo stesso Campana ha presentato con l’appellativo di Convegno “Socio-Culturale”, considerati i temi prevalentemente storici, benchè  sempre legati in qualche modo alla Medicina, affrontati dai valenti relatori, ottimamente coordinati dai moderatori dottor Ernesto Pisacane, dottor Fabio Franculli e  dal generale Franco Lupo.  Il dottor Giuseppe Lauriello, Primario emerito di Pneumologia e storico della  Medicina salernitana,  ha riproposto in maniera assolutamente attuale ed interessante i principi basilari degli insegnamenti della Scuola Medica Salernitana, mentre il dottor Bruno Ravera, capostipite della cardiologia salernitana e cardiologo di chiara fama ha ripercorso le tappe che hanno portato alla fondazione della Cardiologia a Salerno negli anni ’70.

            Una digressione, però, me la consento per il dr. Fabio Franculli che non conoscevo e con il quale ho avuto il piacere di dialogare a lungo a margine del convegno; ho capito cosa vuol dire fare il medico per passione. Complimenti.

            E poi una nota molto positiva anche per l’amico generale Franco Lupo che è riuscito a mantenere la platea molto attenta su un racconto di un fatto assolutamente inedito accaduto agli albori della “scuola medica salernitana” sotto il Ponte dei Diavoli; del generale provvedo a pubblicare il calce tutto il suo interessante convegno.

            Ma continuiamo con il convegno; vi è stata una interessante relazione del Prof. Nicola Oddati sulle implicazioni che gli eventi bellici ebbero sull’assistenza ospedaliera e sanitaria in genere a Napoli e a Salerno nei drammatici anni 1943-44.

            All’evento hanno partecipato, seguendone con grande attenzione tutto lo svolgimento, circa 150 persone; il fatto interessante è stato che l’uditorio non era costituito solo dai Soci ASPEC, ma anche da esponenti del mondo della Cultura, Medici di altre branche, Infermieri, familiari di pazienti e pazienti come il sottoscritto; tutti, al termine dei lavori hanno manifestato l’apprezzamento per i temi trattati, auspicando che un prossimo Convegno ricalchi l’impronta di quello odierno. Non è mancato il saluto dell’Ordine dei Medici portato dal Presidente dottor Giovanni D’Angelo, che ha rivolto all’uditorio un breve e sentito messaggio.

Intervento del gen. Franco Lupo:

Sono il Gen. Francesco LUPO, vicepresidente dell’ASPEC e oggi sono moderatore della prima parte della prima sessione del 7° Convegno socio-scientifico e precisamente sull’argomento della Scuola Medica salernitana di cui il Dott.  Lauriello Giuseppe, Primario Emerito di Pneumologia e Storico della Medicina ci relazionerà.

La Scuola Medica Salernitana trae origini da una delle due  leggende legate alla costruzione dell’acquedotto medioevale chiamato “ ponte dei diavoli”:

  • Quella che ha riguarda la costruzione dell’acquedotto medioevale  – l’isola de “li galli” difronte a Positano e  della morte dei figli del mago dott. BARLIARO;
  • Quella della nascita della “scuola medica Salernitana”.

LE DUE LEGGENDE DEL PONTE DEI DIAVOLI

Pietro Barliario

 Pietro Barliario, personaggio semi-leggendario (Salerno, 1055marzo 1148), è stato un medico e alchimista italiano, studioso di testi di magia della tradizione araba.

Pietro nacque a Salerno da famiglia agiata ma non benestante, e sin dalla gioventù nutrì una gran predilezione per le arti magiche, quasi sicuramente accompagnate allo studio della medicina (erano gli anni in cui la Scuola Medica Salernitana era nel pieno del suo fulgore). Di lui si racconta che, in breve tempo e grazie ad un patto col diavolo, divenne un potente stregone, tanto da far innamorare di sé le donne più belle grazie a degli speciali filtri magici, di poter cambiare l’acqua in vino, e di far spuntare le corna sulla testa di chi gli era antipatico.

Stando alla leggenda, l’opera più celebre di Barliario fu la costruzione, in una sola notte di tempesta e con l’aiuto dei demoni, dell’acquedotto medioevale tuttora esistente a Salerno; tale opera imponente, costruita su un dirupo ed facente per la prima volta uso dell’ogiva, dovette impressionare non poco il popolo salernitano, la cui fantasia ne attribuì la costruzione a una mano “diabolica”. Tale superstizione perdurò almeno fino ai primi del Novecento, quando ancora si riteneva che andare sotto gli archi all’imbrunire avrebbe comportato l’incontro con gli spiriti maligni, ma la leggenda sulla mano demoniaca di Barliario ebbe tanto effetto, che ancora oggi l’acquedotto è chiamato Ponti del Diavolo.

Quindi ritornando all’acquedotto medioevale, il Diavolo impose come condizione importante che tutti i galli prima di quella notte della costruzione fossero ammazzati perché i galli annunciavano, con il loro canto, l’aurora e quindi la luce. Barliaro dette l’ordine e tutti i galli furono uccisi. Scamparono due galli, che una vecchietta in località Largo Campo li nascose sotto un catino. Trascorse tutta la notte per la costruzione dell’acquedotto e la vecchietta, preoccupata della sorte dei galli, andò a controllare se erano ancora vivi. Alzò il catino e i galli incominciarono a cantare e annunciarono la luce e l’aurora e quindi i diavoli scapparono e non terminarono l’opera. Il Barliaro si portò sul posto e prendendo i due galli e li scaraventò in cielo con tanta rabbia e gli animali cadendo in mare, difronte a Positano, si pietrificarono creando l’isola de “li galli”.  

Secondo il racconto il Diavolo, amico di Barliario in tante malefatte, si vendicò di lui in maniera atroce. Un giorno in cui il mago era assente, due suoi nipoti (un’altra versione parla di figli), Fortunato e Secondino, rimasti soli nel laboratorio, vi rimasero a giocare per passare il tempo: ma, aperto un libro magico (o, più verosimilmente, toccando delle sostanze sicuramente tossiche) caddero morti, colpiti da sincope.

Quando Pietro tornò a casa e scoprì i due corpicini, ne impazzì letteralmente per il dolore: nel giro di pochi giorni divenne spaventosamente più vecchio. Passava tutto il tempo a piangere e a fissare il vuoto, o il pavimento su cui aveva fatto la tragica scoperta finché, vinto dal dolore, si trascinò nella vicina Chiesa di San Benedetto, dove si gettò ai piedi del crocifisso dipinto che era sull’altare.

Scalzo e vestito di cenci, per tre giorni e tre notti il mago rimase a vegliare e pregare ai piedi della sacra immagine, piangendo e battendosi il petto con una pietra per penitenza, e chiedendo il perdono dei peccati. E, all’alba del terzo giorno, avvenne il miracolo: il volto del crocifisso alzò la testa ed aprì gli occhi, in segno di perdono. Da quel momento in poi, Pietro cambiò completamente la propria vita, diventando monaco ed entrando stabilmente in quello stesso Monastero di San Benedetto, ove visse il resto della sua lunghissima vita.

Questa leggenda, tramandata dapprima oralmente (solo nel XIX secolo ne vennero scritte poesie e drammi) divenne ben presto popolarissima. Il Miracolo di Barliario attirò in città moltissimi pellegrini, desiderosi di ammirare o pregare davanti all’immagine miracolosa di Cristo. L’afflusso di gente fu tale che, oltre ai fedeli stessi, confluirono in città anche molti artigiani e mercanti di vario genere: da qui nacque la Fiera del Crocifisso, che si svolge ancor oggi i quattro venerdì di Quaresima.

Ultimi anni[

Dopo l’episodio miracoloso del Crocifisso, Pietro Barliario visse molti anni ancora nel Monastero di San Benedetto, morendo in età assai avanzata: la tradizione popolare vuole che sia morto a novantatré anni d’età nel marzo 1148, il venerdì santo. Venne sepolto insieme alla moglie nella stessa chiesa dov’era avvenuto il miracolo, ai piedi del Crocifisso miracoloso. Quest’ultimo, dopo aver subito gravi danni a causa di un incendio nel XVIII sec., è conservato nel locale Museo Diocesano. Purtroppo, le varie vicissitudini che la Chiesa di S. Benedetto ha dovuto subire durante i secoli non hanno risparmiato nemmeno Pietro Barliario: attualmente non v’è più traccia della sua sepoltura, né di quella della moglie.

 SCUOLA MEDICA SALERNITANA

Una leggenda di ben diverso tenore vuole che sotto gli archi si siano incontrati i quattro mitici fondatori della Scuola Medica Salernitana

Si racconta che un pellegrino greco di nome Pontus si fosse fermato nella città di Salerno e avesse trovato rifugio per la notte sotto gli archi dell’antico acquedotto dell’Arce. Scoppiò un temporale e un altro viandante malandato si riparò nello stesso luogo, si trattava del latino Salernus; costui era ferito e il greco, dapprima sospettoso, si avvicinò per osservare da vicino le medicazioni che il latino praticava alla sua ferita. Nel frattempo erano giunti altri due viandanti, l’ebreo Helinus e l’arabo Abdela. Anch’essi si dimostrarono interessati alla ferita e alla fine si scoprì che tutti e quattro si occupavano di medicina. Decisero allora di creare un sodalizio e di dare vita a una scuola dove le loro conoscenze potessero essere raccolte e divulgate.

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