CASSAZIONE: il valore del dubbio, da Bossetti al Crescent … visto da Giovanni Falci

 

 

 

 

 

 

 

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Su “il valore del dubbio nel processo penale” ho già pubblicato il punto di vista dell’avv. Cecchino Cacciatore a coronamento di un ragionamento che sto cercando di portare avanti, tra tante difficoltà, sul ruolo che deve forzatamente recitare “il dubbio” prima di arrivare ad una condanna definitiva avallata dalla Cassazione. Per questo alla serie di approfondimenti ho dato il titolo “Cassazione” ben sapendo che la Suprema Corte dovrebbe soltanto legittimare la linearità del processo e, senza entrare nel merito (almeno così si spera !!), dare anche la giusta valutazione del dubbio che si nasconde sempre e comunque dentro ogni faldone processuale, anche quelli che sembrano al di sopra di ogni ragionevole dubbio. Pur tenendo conto che il dubbio nel processo penale, così come in  ogni altra manifestazione della vita, non potrà mai essere azzerato, il compito della giustizia dovrebbe essere quello di ridurlo in percentuale fino a risultare non influente in maniera massiccia sul giudizio finale, anche per non correre il rischio di assolvere tutti ben sapendo che non tutti sono innocenti. Spesso, però, così non è, anche perché non è molto chiaro a chi spetta la valutazione sull’entità del dubbio: agli Investigatori, al PM, al Riesame, al Collegio di 1°, all’Appello o alla Cassazione, oppure in ultima analisi alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

            Quasi tutti questi argomenti li ha trattati il noto avvocato penalista Giovanni Falci nell’approfondimento che ha inviato a questo giornale e che io ho soltanto trascritto pedissequamente:

      “””Il dubbio, anzi, l’al di là di ogni ragionevole dubbio, è assolutamente indispensabile per capire in che modo muoverci nella valutazione delle prove nel processo penale. Il principio di non consapevolezza è, infatti, un principio processuale non sostanziale. Il che significa che la Costituzione ci impone di dover ragionare nel processo come se l’imputato fosse innocente. La legge non ci dice se e quando credere a un teste o a una intercettazione o a una chiamata in correità o a un consulente. Ci dice solo per prendere una certa decisione il peso delle prove deve raggiungere un certo grado (cioè una certa probabilità logica). Anche qui si dà libertà al giudice. Ma fino a un certo punto ! Il giudice non è libero di decidere quando ci sono abbastanza prove per condannare. E’ la legge che fissa l’asticella. Quello del “Al di là di ogni ragionevole dubbio” è uno standard probatorio. Il principio di consapevolezza fissa lo statuto epistemologico dell’ipoteso dell’innocenza e dice: al momento in cui inizia la fase decisoria, l’ipotesi dell’innocenza e l’ipotesi della consapevolezza non sono sullo stesso piano, perché l’ipotesi dell’innocenza possiede uno status privilegiato.  Infatti, mentre l’ipotesi dell’accusa è, all’inizio del giudizio, un’ipotesi gratuita, cioè semplicemente verosimile, l’ipotesi dell’innocenza è l’ipotesi probabile, l’ipotesi da confutare: l’ipotesi da battere. Essa non ha bisogno di prove per sorreggersi. La sorregge la legge: la plausibilità iniziale dell’ipotesi dell’innocenza è una plausibilità legale. In questa situazione trova giustificazione la regola decisoria dell’ in dubbio pro reo. Esso non significa: essendo dubbio se lì imputato è innocente o colpevole, questi va assolto. Tale ragionamento dovrebbe portare all’assoluzione per insufficienza di prove e quindi l’art. 530 comma 2 c.p.p. sarebbe un misfatto logico perpetrato dalla legge. Invece la formula si spiega se si rovescia il ragionamento: dove è dubbia l’accusa, è certa l’innocenza. Bisogna allora confrontarsi con il principio del “al di là di ogni ragionevole dubbio”, condizione prevista dall’art. 533 c.p.p. che disciplina la condanna dell’imputato. In effetti, l’art. 530 comma 2, c.p.p. fissa lo standard   al di sotto del quale si assolve, mentre l’art. 533 c.p.p. fissa lo standard al di sopra del quale si condanna. E’ opportuno allora capire cos’è un dubbio ragionevole. Innanzitutto, è ragionevole quel dubbio per il quale il Giudice può indicare le ragioni. E’ ragionevole, inoltre, il dubbio quando le prove consentono un’interpretazione e una ricostruzione alternativa del fatto. In buona sostanza la logica del ragionevole dubbio ha delineato un ragionamento attraversa le prove che il giudice deve fare per giungere alla colpevolezza. La formula del “ragionevole dubbio” ci indica lo strumento del metodo legale di valutazione delle prove: il dubbio. La dialettica del dubbio come strumento di valutazione delle prove e delle ipotesi sul fatto. Il criterio del ragionevole dubbio si salda così alla presunzione di innocenza: le prove dell’accusa vanno valutate come se l’imputato fosse innocente. Il metodo è quello di dubitare delle prove dell’accusa cercando di falsificarle. In altri termini, di fronte alle prove e alle spiegazioni dell’accusa dobbiamo chiederci: se partiamo dall’dea che l’imputato sia innocente, come si spiegano queste prove ?. Una epistemologia verificazioni sta si limita a cercare la coerenza logica dell’ipotesi accusatoria e la sua compatibilità con i fatti. Una epistemologia falsificazionista sottopone l’ipotesi accusatoria a sistematici tentativi di confutazione: e lo strumento della confutazione è, appunto, il dubbio. Questo dubbio può essere di due tipi: interno o esterno all’ipotesi accusatoria. Il dubbio interno è quello che rileva l’autocontraddittorietà dell’ipotese (l’ipotesi è incoerente) o la sua incapacità esplicativa (l’ipotesi dell’accusa spiega solo alcuni fatti, non tutti i fatti necessari per un giudizio di colpevolezza). Il dubbio esterno è quello che contrappone all’ipotesi dell’accusa, un’ipotesi alternativa, che abbia non il carattere delle mera possibilità logica (la congetturalità dell’ipotesi), ma il carattere della razionalità pratica (la plausibilità empirica: “è possibile che le cose siano andate così”). Nel processo penale non c’è il diritto al dubbio; c’è di più: c’è il dovere del dubbio ! Questi semplici principi conducono ad un giusto processo.”””

NOTA FINALE: Naturalmente il ragionamento fatto in punta di diritto dall’avv. Giovanni Falci non fa una grinza ed è assolutamente condivisibile in ogni parola, così come lo condivido senza esitazione. Rimane, però, almeno una perplessità, un dubbio: perché l’esercizio del ragionevole dubbio viene amministrato non in base all’asticella che pure la legge cerca di fissare ma, spesso,  sull’onda di convinzioni personali e/o di interessi politici e di potere che dovrebbero rimanere fuori dal processo penale ?.

 

 

 

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