il Quotidiano di Salerno

direttore: Aldo Bianchini

UNA DONNA: MARIA CASALNUOVO di Buonabitacolo

 

di Eppe Argentino Mileto

La prima volta che la vidi, mi venne presentata a Buonabitacolo, la sua città. In prossimità di quella chiamano “La Cupola”. Un piccolo auditorium in cui, di lì a poco, si sarebbe svolto un convegno. Era lì: con i capelli biondi e i sogni fra i capelli, bellissima nei suoi 20 anni, Maria Casalnuovo.

Era ruvida e diffidente, solare nel biondo della sua timidezza, voce graffiante e pelle eburnea interrotta dal rosso cuore di un rossetto sulle labbra.

Mi strinse con sicurezza la mano. Mi venne presentata per le sculture in ceramica che creava da mani sapienti ed esperte. Sculture che parevano rocce partorite dalla fantasia del libeccio e graffiate dal sale di un mare che non vedi ma che c’è: il suo mondo.

Le sue sculture: attimi di contatto con Dio o con un Dio comunque si chiami, che fermava con una sensibilità nota solo al dolore che recava dentro. Il dolore dell’esistenza, della resistenza al dolore e la consapevolezza di dover andar via, prima o poi, per inseguirlo, il suo dolore. L’arte è dolore. Orfana di padre e figlia unica.

Maria Casalnuovo è un’artista di Buonabitacolo. Per chi legge non è affatto una cittadina. Ma una città. Non amo i vezzeggiativi. Cittadina è come dire carina. È sinonimo di qualcosa che ti sfiora senza lasciarti traccia alcuna. Ed io amo ciò che ti entra nella carne, come amo il sudore e il sangue. Come amo gli odori. E i profumi. Non le acque di colonia. Che sono un succedaneo del profumo. Ti accarezzano, ma non restano. Detesto i vezzeggiativi. Li trovo da vigliacchi. Sono il linguaggio di chi non si espone mai, di chi mette la polvere sotto al tappeto, di chi ti mette le parole, le proprie parole in bocca, senza avere il coraggio di urlarle, quelle parole. Di partorirlo, quel dolore. E lasciare che sia tu a farlo. Che sia tu a sporcarti le mani. O la bocca. In loro favore.

Maria è figlia di un dolore. È madre di un dolore. È compagna di un dolore.

Seppi in seguito che era una truccatrice, un’esperta di make-up artistico, televisivo e cinematografico. Conoscenza che sviluppò a Roma, studiando  per affinare le tecniche del suo talento innato.

Dopo un anno di studi rientrò a Buonabitacolo. Confusa per un’estetista, dopo essersi ridedicata all’arte della ceramica, non si arrese. Un’artista non si arrende. Non cede. Non si piega. Non si flette. E oggi è entrata a far parte della linea Green cosmetica Yves Rocher. Tradotto: se ne va a Milano. Che significa: emigra.

Maria è figlia di un dolore. È madre di un dolore. È compagna di un dolore.

Come avrebbe potuto arrendersi? Vedete, circa due mesi fa scrissi un articolo che mi valse una fatwa, nella città di Maria: “Nessun dorma a Buonabitacolo”.

Ancora oggi mi giungono gli echi di un dissenso legittimo ma ingiusto. Ciò che è legittimo è quasi sempre ingiusto. E mi raggiungono rumorosi strascichi, talvolta dichiarati, talvolta no.

Bene: quell’articolo dovrebbe essere salmodiato dai minareti con voce stentorea dai muezzin, predicato dai preti come il Vangelo la domenica e insegnato nelle Sinagoghe dai Rabbini. Dovrebbe essere raccontato ai bambini come una favola, prima di andare a letto. Recitato come un Padre Nostro, un Salve Regina e implorato come un Atto di Dolore. Perché la verità è come un veleno. È veleno. Ma si chiama verità. E riguarda tutto il Sud. E tutti i Sud del mondo. E tutti i luoghi in cui c’è sudore, ci sono odori e sangue.

Ai giovani risentiti e punti, ai loro genitori, alle loro famiglie, ai loro docenti, alle minoranze che mi hanno scritto, ai sacerdoti del tempio che hanno emesso la fatwa, ai giudici della mia condanna, oggi racconto di Maria Casalnuovo. Una storia di Buonabitacolo.

Nel pomeriggio mi è arrivato un Whatsapp di Maria, che mi annunciava del nuovo lavoro. Ho sentito così, a due mesi da quel mio scritto, il dovere di raccontarla, questa storia.

Racconto il suo dolore e la sua arte. Racconto il suo sogno. Racconto l’abbandono che di qui a poco consumerà sua madre, vedendola andar via per non tornare più. Per non tornare mai più.

Nutro rispetto, per tutti coloro che lavorano. A qualunque età e qualunque cosa facciano. Ed ammirazione, per chiunque abbia deciso di non andar via. Di non emigrare. Per chiunque, pur fra mille sofferenze e disagi, abbia deciso di far ritorno. In ogni paese da cui era partito.

Ma nutro venerazione per chi non può non partire. Perché non ha scelta. Perché non tutti i lavori esistono in ogni luogo. Non sempre è possibile esprimersi in ogni contesto. Se sei un avvocato, un medico, un ingegnere, un architetto, un falegname, un artigiano, allora sì che puoi non rinunciare ad esprimerti anche nella tua città. Puoi rimanere dove sei nato e vivere felice, perché hai ascoltato il tuo talento, la tua vocazione, la voce di Dio in te. Significa dare voce al talento senza abiurare al talento stesso. Ma se sei un’artista di make-up come Maria, se sei un attrice, se senti di poter diventare un pianista, se Dio ti ha toccato le corde vocali e la tua voce può alzarsi fino al coro degli angeli e diventare un soprano, allo no. Sei costretto ad andar via.

È questo dolore che voglio raccontare stasera. È questo lo strappo che voglio esca da queste pagine. È questa l’ingiustizia che vorrei non esistesse. Non lo trovo democratico, dover partire. Dover rinunciare ai luoghi in cui si è nati per esprimersi. Lo trovo violento. Ed ogni violenza non è democratica.

E sapete perché? Ogni volta che emigra qualcuno per necessità, per bisogno, ogni volta che si è costretti a fare qualcosa perché non vi sono le condizioni per esprimersi al massimo livello laddove si è nati, noi decretiamo un fallimento.

Con la partenza di Maria Casalnuovo falliamo tutti: io che scrivo, voi che perdete una concittadina, la madre che vede andarsene l’unica figlia per restare sola, aspettando la telefonata della sera col cuore colmo di trepidazione.

Un pensiero va a quella donna: ma voglio lasciarla con una certezza, non con una speranza. Non amo le speranze. Vivo di certezze. Maria è una donna. Sia orgogliosa quella madre. Sia orgogliosa del coraggio di Maria. Sia fiera di averle messo il volo nelle ali. Sia felice della diversità di Maria, di quel dolore. Il dolore è l’unica nobiltà che conosco. E che riconosco.

 

 

1 Commento

  1. Bellissimo racconto! Pieno di dolore. Per uno scritto di così alto livello non bisogna accontentarsi di leggerlo una sola volta per capirne il senso. Maria è emigrata a Milano per lavoro.
    Angelo Vita

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