SANITA’: storia di vita e di morte (atto 2°)

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – La storia che sto raccontando è giunta alla seconda puntata (la prima è stata pubblicata il 14.11.2018 sempre su www.ilquotidianodisalerno.it).

La storia di “MARIA” (nome convenzionale) dunque continua.

Per andare avanri, però, è giusto fare qualche cenno alla situazione fisica, cioè il quadro clinico-patologico, con cui Maria arriva presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona la sera del 30 luglio 2018.

Maria nel 1960 aveva subito tre interventi chirurgici al setto nasale per difficoltà respiratorie. Nel 1967 un aborto spontaneo. Negli anni 69 – 71 e 72 aveva partorito tre figli; l’ultimo parto fu caratterizzato da una forte emorragia per extrauterinità del parto stesso. Il 7 giugno 2001 aveva scoperto di avere un carcinoma alla mammella dx con sei linfonodi e conseguentemente era stata operata di “asportazione della mammella dx”. Successivamente effettuava ben sei cicli di chemioterapia. Poi dal 2001 al 2018 una vita sufficientemente normale dal punto di vista medico con piccoli disturbi consono all’età ed al clima.

Dunque la sera del 30 luglio 2018, a causa di una febbre persistente da qualche giorno, di sudorazione abbondante con brividi di freddo ed incontrollabili, il marito intorno alle ore 21.35 chiama il 118.

Sul posto arriva una prima e subito dopo una seconda ambulanza (con dottoressa e due volontari), le condizioni della paziente non sembrano delle migliori; gli operatori effettuano i primi tentativi di soccorso con l’inserimento anche di una flebo.

Intorno alle 22.30 la paziente viene caricata su una delle due ambulanze e trasportata a sirene spiegate presso il Ruggi di Salerno senza dare a nessun familiare la possibilità di salire a bordo.

I familiari, quindi, si dirigono con mezzi propri alla volta dell’ospedale salernitano; e qui il primo brutto impatto con la realtà sanitaria pubblica in cui, anche per esigenze organizzative e lavorative, siamo tutti dei numeri. Il marito e la figlia chiedono notizie allo sportello dell’accettazione (pronto soccorso); secca, distaccata e forse anche un po’ disumana la risposta “Dovete aspettare”.

Dopo circa mezzora, siamo intorno alle 23 di sera, la paziente barellata viene messa fuori dalle stanze interne ed addossata ad una parete dell’ingresso (nei pressi degli sportelli dell’accettazione) mentre una trentina di persone razzolano nel spazio non tanto largo e con un’altra lettiga su cui era adagiato un uomo rantolante, seminudo e senza alcuna assistenza. Ma non finisce qui; quell’uomo seminudo (mentre Maria non è cosciente) comincia ad invocare aiuto con voce sempre più alta e supplichevole tra qualche risata e commento sarcastico dei vari presenti.. Il nostro M.S. non  ce la fa più di fronte a quello strazio e si dirige verso lo sportello per sollecitare un intervento in favore di quel malcapitato; anche questa volta la stessa operatrice di prima risponde: “Ma lei vuol farmi perdere tempo ? Gliel’ho già detto, deve aspettare. Questo è il posto sbagliato, vada alla direzione sanitaria” (incredibilmente sfacciata e scostumata, alle 23 di sera mi sembra proprio una ulteriore offesa per chi in quel momento può dipendere totalmente anche da un piccolo gesto di sana umanità !!). E pensare che il nostro si era diretto allo sportello per sollecitare un aiuto verso quell’uomo barellato, semi nudo, dolorante che invocava aiuto.

La prima domanda è naturale: “Ma è così che funziona la sanità pubblica ?”. La risposta è decisamente no, almeno da parte mia; nella sanità pubblica in genere, così come nell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno ci sono moltissime eccellenze con la stragrande maggioranza di medici e paramedici che fanno il loro lavoro “non per mestiere” ma lo interpretano come una missione e con spiccato senso del rispetto del paziente visto anche, se non soprattutto, come essere umano; tutto questo nell’ottica e nella piena consapevolezza di quello che per ognuno di loro è il “giuramento di Ippocrate” di cui ho scritto nella precedente puntata.

Ma esistono anche, inutile nascondercelo, pochi elementi o soggetti che fanno i medici o gli infermieri e impiegati soltanto “per mestiere” senza aver avuto, prima di avvicinarsi a tali professioni, il benché minimo senso di rispetto degli altri. Probabilmente l’impiegata della quale parla e scrive il nostro M.S., che in quel momento era anche priva del codice identificativo, è la concreta dimostrazione di quanto sto scrivendo. Addirittura l’impiegata fa cenno alla vigilanza di risorverle il caso di quello scocciatore serale; e fortunatamente gli addetti si rendono conto del fatto, cercano di calmare M.S. e gli chiedono di capire che lo stress per chi sta al lavoro per ore e ore può giocare brutti scherzi (ridicolo, quasi come dire che un poliziotto a fine turno, per stress, si mette a sparare tra la folla). Soltanto intorno alla mezzanotte il malcapitato viene caricato su un’altra ambulanza e portato via.

Il nostro M.S. fa per seguirlo anche per salutarlo e confortarlo, ma una voce di una operatrice lo richiama verso la moglie che, ancora sulla lettiga in mezzo al corridoio, incomincia a dare segnali di lucidità.

Ma la storia, ovviamente, non finisce qui; e poco dopo, in piena notte, si complica; appuntamento alla prossima puntata della “storia di vita e di morte” di Maria.

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