Trem-Bond: Monte Pruno sulla cresta dell’onda

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Più passa il tempo e più diventa complicato leggere le evoluzioni del “sistema finanziario” sul quale ogni Paese è obbligato a confrontarsi per reggere il proprio destino .

Diventa complicato perché i cosiddetti trem-bond (Titoli di Risparmio per l’Economia Meridionale) nati nel 2011 per volere dell’economista Giulio Tremonti hanno dato vita, come spesso accade nel nostro Paese a due punti di vista differenti, cioè a due linee di pensiero in merito alla loro pratica monetizzazione distributiva da parte delle banche.

La finalità principale dei trem-bond (che nella loro denominazione evocano il cognome dell’economista e già ministro dei governi Berlusconi) doveva essere quella di rilanciare le imprese meridionali in sostituzione della famosa Banca del Sud che non è mai nata. Si tratta, in effetti, di normali titoli obbligazionari con una particolare attrattiva: sono soggetti a imposizione fiscale sugli interessi del 5% piuttosto che 12,5% come gli altri Titoli di Stato e ben più bassa del 20% delle rendite finanziarie. Il denaro raccolto collocando questi titoli doveva essere impiegato per finanziare progetti di investimento superiore ai 18 mesi di piccole e medie imprese in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia.

Secondo il decreto istitutivo le banche avrebbero potuto emettere Trem Bond fino a tre miliardi di euro all’anno. I capitali recuperati dovevano, poi, essere destinati a favorire l’incremento dell’offerta di credito nel Mezzogiorno e a ridurre lo squilibrio esistente tra regioni Meridionali e le altre aree del Paese. L’obiettivo è proprio quello di attrarre risorse necessarie a incrementare lo sviluppo di lungo termine delle imprese del Mezzogiorno.

Un tema, questo, molto caldo se messo in relazione alla richiesta di alcune regioni della famigerata “economia differenziata” che porterebbe, a mio modesto parere, ad un disastro economico con un differenziale finanziario a tutto vantaggio delle regioni Lombardia, Veneto e Emilia Romagna.

Insomma nel 2011 il decreto Tremonti cercava di riequilibrare il gap sud-nord mentre oggi dal nord pretendono proprio tutto il contrario.

In mezzo, come sempre, c’è una precisa responsabilità delle banche che o non hanno raccolto i capitali fino alla concorrenza dei famosi 3miliardi o li hanno raccolti ma non li utilizzano perché il rischio delle banche è altissimo in quanto, al di là di ogni altra considerazione, la prima regola è quella di garantire e assicurare i risparmiatori che acquistano i trem-bond; e l’assoluta garanzia non va a braccetto con il rischio di mancato recupero che inevitabilmente le banche corrono una volta che hanno distribuito le risorse alle piccole e medie imprese.

Il progetto Tremonti, secondo il giornalista economico Gianfranco Ursino de “Il Sole 24 Ore” (Plus 24 di febbraio 2019), non è mai decollato per la mancanza della raccolta di capitali dai risparmiatori che avrebbe portato all’inesistenza del famoso fondo di 3miliardi di euro.

Le ragioni, ovviamente, potrebbero essere più profonde ed attengono allo strapotere dell’economia del nord del Paese che non ha mai gradito la distribuzione di risorse al sud per il rilancio dell’economia meridionale; da qui anche l’attuale pressante richiesta di un’economia differenziata per le tre regioni del nord.

Ma “Il Sole” mette in risalto anche un altro aspetto della vicenda che riguarda più direttamente le banche del sud che, contrariamente alla stragrande maggioranza, almeno in due casi hanno apprezzato e praticato la disciplina dei trem-bond; il primo caso riguarda, guarda caso, la Banca Monte Pruno ottimamente diretta da Michele Albanese che ancora una volta riesce a mettere in evidenza una sua precipua caratteristica: “Saper fare banca”. Difatti se non si conoscono alla perfezione tutti i meccanismi bancari come li conosce il direttore Albanese diventa molto difficile fare scelte di raccolta, prima, e di distribuzione, poi, senza cadere nell’incubo del possibile mancato ritorno dei capitali in cassa.

L’ho scritto tante altre volte e lo ribadisco oggi; il successo di una banca, soprattutto se di dimensioni locali e dedita alla prossimità del territorio, si misura dalla capacità della sua dirigenza e dal suo modello organizzativo anche nella scelta della direzione in cui incanalare gli investimenti, cioè distribuire le risorse raccolte dai risparmiatori.

E in questo la Banca Monte Pruno, a mio avviso, non è seconda a nessuno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *