INFORTUNI: la strage di Sanza del 1977

 

Aldo Bianchini

Comune di Sanza, provincia di Salerno

SALERNO – Per rimanere in tema rispetto alla celebrazione della giornata nazionale dell’ ANMIL per le vittime degli incidenti sul lavoro (Palermo – 13 ottobre 2019) mi sembra giusto anche ricordare e concludere una delle tragedie più grandi nella storia degli infortuni sul lavoro; quella che si è verificata in provincia di Salerno, a Sanza, il 28 maggio del 1977; nelle campagne di quel paese persero la vita tre contadini e uno rimase in ospedale per qualche tempo, ma riuscì fortunatamente a salvarsi. Ne ho parlato nella precedente puntata pubblicata il 2 ottobre 2019 su questo stesso giornale.

Ho ripreso questa vicenda dagli archivi personali e del presente giornale dopo il duplice infortunio mortale di due operai di Aliano (MT), Donato Telesca (53 anni) e Leonardo Nolè (54 anni); un infortunio che ha registrato le stesse identiche modalità della strage di Sanza, e soprattutto alla luce della morte dei quattro lavoratori di Arena Po’ (TO) “Prem e Tarsem Singh – Armin der Singh e Maiinder Singh”, inoltre di Mario Ferrara, cinquantacinquenne, schiacciato tra camion e cancello a Tramonti (SA), per significare che c’è senza dubbio molto da fare, ancora. Per non parlare dell’ultimo infortunio mortale occorso ad un lavoratore interinale 38enne proveniente dalla Costa d’Avorio schiacciato da un carico sospeso nei capannoni della Velplastic di Vergiate nel corso del pomeriggio del 5 ottobre scorso, a conferma di un trimestre nerissimo a conferma di un’elevatissima media degli infortuni mortali che ormai rasenta il numero di tre per ogni giorno.

Vale a dire che nonostante la nostra complessa ed articolata legislazione in materia che parte da lontano, come ho già scritto nei precedenti articoli del 2 settembre e del 2 ottobre scorsi; una situazione allarmante e non più sostenibile che è stata molto bene esplicitata anche nel corso della giornata nazionale ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro) per le vittime degli incidenti sul lavoro celebrata a Palermo ieri 13 ottobre 2019.

Nella foto uno dei lavoratori deceduti nella tragedia di Arena Pò

Tutto questo per riconfermare, ancora una volta, che dalla tragedia di Sanza del 1977 sono passati 42 anni invano e che per l’affermazione totale della cultura della prevenzione contro gli infortuni c’è ancora moltissimo da fare; atteso che ancora oggi in Italia si registrano mediamente tre infortuni mortali al giorno, viene da se che siamo di fronte ad un livello molto basso di prevenzione che, badate bene, deve essere percepita non soltanto dai datori di lavoro ma anche, se non soprattutto, dai lavoratori che essendo questi ultimi i maggiori interessati ad una sana e corretta prevenzione dovrebbero essere quelli maggiormente sensibili nei confronti del grave problema; ma spesso così non è, e non lo è per una serie variegata di problemi e di condizioni.

Tutto questo lascia ampia strada alla domanda: “Ma a cosa sono serviti i numerosissimi e costosissimi corsi formativi per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, quando ancora il perno principale del discorso, il lavoratore (autonomo o dipendente che sia), non è stato messo nelle condizioni di fare il salto di qualità nell’assunzione anche delle sue responsabilità per come approcciare il difficile e complicato problema che, spesso, gli costa la vita ?”.

Ma di questo parlerò nel prossimo articolo in cui riporterò anche gli ultimi dati nazionali della strage delle morti bianche sul lavoro.

Adesso continua il racconto, con la seconda ed ultima parte, della strage di Sanza accaduta oltre quarant’anni fa.

RACCONTO: La strage di Sanza del 28 maggio 1977 (seconda ed ultima parte)

Per questa seconda parte del racconto è necessario ricordare che un contadino (Antonio De Mieri, papà dell’ex sindaco di Sanza) intento ad irrigare il suo orto si calò nel pozzo per capire perché il motore dell’autoclave si era spento. Non sapeva che a provocare lo spegnimento era stato l’eccesso di anidride carbonica che aveva consumato tutto l’ossigeno necessario alla combustione del motore a scoppio. Dunque il lavoratore si portò vicino al pozzo e vi si calò dentro perdendo subito i sensi e con essi la vita; la moglie si accorse che non dava più segni di vita e chiamò aiuto, un uomo che lavorava a poca distanza si precipitò di corsa verso il pozzo.

Francesco De Mieri (ex sindaco di Sanza), figlio di Antonio deceduto a causa dell'infortunio sul lavoro del 1977

“”Il contadino (Pasquale Santoro) arrivò ansimante, con il sopraffiato, già stanco per il lavoro iniziato da ore; la donna (moglie di Anonio De Mieri) lo incalzò, non  gli lasciò neppure il tempo di respirare e di riflettere, capì che al suo amico poteva essergli successo qualcosa di grave; scavalcò il muretto di cinta e si calò nel pozzo con il fiato tagliato dalla forte tensione nervosa. Non era riuscito ancora a capire cosa fare e come muoversi che un forte stordimento cominciò a bloccargli la muscolatura di tutto il corpo, lascò gli agganci e precipitò in acqua. La moglie del primo malcapitato (De Mieri) incominciò a gridare di nuovo e sul posto accorse anche la moglie del secondo; non sapevano cosa fare se non gridare a squarciagola. Sul posto arrivò sempre di corsa un terzo contadino (Antonio Peluso) che stava seguendo la scena da lontano; aveva corso di più e quindi era ancora più stanco degli altri due e con il fiato dimezzato. Si calò rapidamente nel pozzo e perse subito conoscenza e rovinò sugli altri due. Arrivò un quarto contadino che ansimante compì la stessa operazione; però fu più prudente e scese lentamente; la moglie (accorsa anch’essa) gli grida di uscire subito e decisa lo afferrò per le spalle riuscendo a tirarlo fuori; si salvò grazie alle cure ricevute presso l’ospedale di Polla. Sulla scorta di un accurato rapporto (a mia firma che all’epoca rivestivo la carica di “ispettore di vigilanza per gli infortuni sul lavoro”) il caso dei tre morti e del ferito fu ricondotto sotto la protezione della legge infortuni e i parenti dei deceduti e il ferito furono adeguatamente indennizzati, anche se la vita a quei tre sfortunati lavoratori agricoli nessuno mai ha potuto ridargliela. In effetti quella tragedia, grazie anche al mio rapporto, diede vita ad uno storico e sostanziale cambiamento di rotta da parte dell’INAIL e dello Stato in genere. La letteratura infortunistica, almeno fino a quel momento, era molto restia a riconoscere come “infortuni verificatisi in occasione di lavoro autonomo e par causa violenta” tutti quei casi in cui non c’era un diretto rapporto eziologico tra lavoratore e lavoro svolto. Difatti se per il primo lavoratore non c’erano problemi al riconoscimento, per gli altri due si aprivano difficoltà enormi. Riuscii, però, a dimostrare che le azienda agricole facenti capo ai tre morti ed al ferito erano confinanti tra loro ed evidenziavano quasi una comunione di intenti lavorativi e produttivi, nel senso che i quattro lavoravano i terreni concordando per tempo le strategie di coltivazione e dividendo reciprocamente sia l’utilizzo dei mezzi agricoli che la partecipazione manuale ai lavori, e finanche i prodotti del raccolto. Tutto questo, aggiunto al fatto che avevano ubbidito all’istinto insopprimibile dell’uomo di portare aiuto al compagno nel momento del bisogno, produsse una decisione storica da parte dell’INAIL nella valutazione dei casi limite (oggi si direbbe dei “casi scuola”) che cambiò tutta la storia successiva degli indennizzi per gli infortuni sul lavoro che fino a quel momento erano stati sempre esclusi dalla tutela assicurativa. Fino ad arrivare al caso di Guido Rossa ucciso per strada dalle Brigate Rosse il 24 gennaio 1979 mentre stava andando in tribunale, in permesso lavorativo giudiziario, per testimoniare contro le BR. Per Rossa, in aggiunta a tutte le valutazioni per il caso della strage di Sanza, fu tenuta in considerazione anche la particolarità che il Rossa nel recarsi in tribunale altro non faceva se non l’interesse specifico dell’azienda in funzione della conservazione del posto di lavoro per i suoi compagni di lavoro, attraverso la lotta contro le BR che minavano la stabilità della stessa azienda. Da quel momento la legislazione infortunistica si allargò definitivamente assumendo le vesti di un avamposto avanzato di grande civiltà”.

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