La giustizia amministrativa “da remoto” va, ma evitiamo il distanziamento giurisdizionale

MARISA ANNUNZIATA

(avvocato amministrativista)

 

avv. Marisa Annunziata

SALERNO – La giustizia amministrativa, al tempo del coronavirus, ha mantenuto la sua autonomia organizzativa e gestionale, palesando una buona tenuta giurisdizionale.

Non è stato facile districarsi tra la pur cospicua produzione legislativa, sempre più complessa nell’ottica interpretativa e sempre meno comprensibile nel coacervo di disposizioni, termini e adempimenti che ampi spazi hanno lasciato all’interprete nell’individuare il percorso più idoneo e le misure più adeguate per continuare a garantire la tutela dei diritti.

Senza tralasciare che, pur tenendo conto dell’emergenza sanitaria in atto, in più di un caso il legislatore, spesso distratto, ha introdotto disposizioni e impartito ordini extra ordinem, spingendosi ben oltre lo steccato della costituzionalità.

Alla inevitabile battuta d’arresto inizialmente imposta alla giurisdizione tutta ha fatto seguito un cambio di rotta per la giustizia amministrativa alla quale, sia per gli strumenti giurisdizionali offerti dal C.P.A., che per una pregressa e ben articolata organizzazione telematica, è stata riconosciuta una differente e ben strutturata performance organizzativa. Sin da subito la giustizia amministrativa ha intrapreso un percorso diverso e responsabile, teso ad evitare la paralisi ed a garantire la funzionalità del servizio giustizia, seppure in un regime “speciale” di tutele. Ed infatti, con il D.L 23/2020, il Consiglio dei Ministri ha disposto una ulteriore proroga della sospensione delle udienze per i processi civili, penali e tributari, ma nessun rinvio è stato imposto per i giudizi amministrativi, ad eccezione della sospensione del termine per la proposizione dei ricorsi sino al 3 maggio.

Abbiamo oggi un processo che viaggia sul filo della tecnologia telematica e che si fonda esclusivamente sulla documentazione e sugli scritti difensivi riposti  nel vagone del PAT, con qualche modesto accenno a sparute udienze con collegamento “da remoto”.

Un guizzo di orgoglio ha colto gli operatori della giustizia amministrativa che, con comprensibile soddisfazione, nel tratteggiare l’attività giurisdizionali posta in essere nonostante l’emergenza Covid 19, esaltano il concetto di Giustizia 4.0.

Un plauso agli organi della giustizia amministrativa va senza dubbio tributato avendo essi garantito – pur tra innumerevoli difficoltà – una tutela nella rete dell’emergenza.  E, nell’emergenza ancora in atto, qualunque strumento appare accettabile per la disamina improcrastinabile di questioni che rivestono particolare urgenza ed indifferibilità, soprattutto se l’alternativa sarebbe la paralisi del sistema giustizia.

Ciò che, però, preoccupa è che la straordinarietà delle misure che, via via, si stanno delineando, diventi ordinaria regolamentazione e che da questa pandemia nasca un nuovo corso, teso a sopprimere la celebrazione dei processi nelle tradizionali aule dei tribunali, relegando gli avvocati in quei piccoli quadratini che compaiono sullo schermo nei collegamenti da remoto. Senza voler anticipare i tempi, qui entrerebbe in gioco il principio di effettività della tutela giurisdizionale che impone all’ordinamento giuridico di approntare una serie di tutele processuali idonee ad assicurare una protezione pienamente satisfattiva alle situazioni soggettive, nazionali ed europee, lese da atti dei pubblici poteri. Ebbene, in tale ottica, assume rilevanza strategica il giusto equilibrio tra il  diritto  di  difesa, in tutte le sue sfaccettature, e gli strumenti   processuali   forniti dall’ordinamento per garantire la corretta e satisfattiva protezione delle situazioni soggettive individuali. Ciò che appare necessario evitare è proprio il riconoscimento meramente  formale  del principio di effettività della tutela, non accompagnato da concreti ed efficaci rimedi giurisdizionali, dispiegabili nelle forme del contraddittorio processuale e della sostanziale esplicazione delle ragioni di tutela.

Il pur suggestivo richiamo alla “Giustizia 4.0” quindi desta qualche perplessità e induce ad una riflessione. Le novità tecnologiche ”spinte” ben si collocano nell’ambito dell’automazione industriale nell’ottica della competitività del sistema produttivo; non possono, al contrario, trovare massiva collocazione funzionale nell’ambito della giustizia.

Lasciamo che la digitalizzazione degli atti processuali costituisca un’ineludibile attività di supporto alla funzione giurisdizionale, ma  lasciamo che i processi, almeno quelli, continuino ad essere svolti nelle aule dei tribunali, indossando la vecchia ma preziosa toga, leggendo alle spalle dei giudici “La legge è uguale per tutti”  e, perché no, anche cogliendo nello sguardo della controparte o del giudice quel guizzo che ti offre lo spunto di una discussione e l’entusiasmo di difendere valori e diritti. Facciamo in modo che il “distanziamento sociale”, non diventi “distanziamento giurisdizionale”, attraverso sterili ed impersonali strumenti ”da remoto”.  L’attività giurisdizionale e ancor prima la Costituzione non potranno mai diventare completamente  4.0 perché, come enunciava Francesco Saverio Borrelli “Il processo resta il luogo dove accusa e difesa si devono confrontare. Al di fuori di questo c’è la negazione dei meccanismi fondamentali dello Stato”.

 

 

 

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