LA RAGIONEVOLE DURATA DEL GIUSTO PROCESSO NELLA COSTITUZIONE

La redazione

dr. Pietro Cusati - giurista, giornalista

SALA C: – Nell’ambito della cerimonia per la “Festa della Repubblica” organizzata dal Gruppo Volontari Civici- Sezione Cultura nella Città di Sala Consilina il dr. Pietro Cusati (giurista e giornalista) ha relazionato, con grande professionalità, in merito alla “ragionevole durata del processo nella Costituzione”; con vivo piacere pubblichiamo l’intero intervento.

 

SALA C. – I temi della riflessione sono molti, ovviamente, mi limito a qualche breve cenno. Non c’è civiltà senza giustizia. Non c’è democrazia senza giustizia. L’Italia è la Patria del diritto ed è anche il Paese di Cesare Beccaria e “Dei delitti e delle Pene”, manifesto dell’illuminismo, testo ispiratore di molte carte costituzionali nel senso del garantismo. È risaputo che il principale addebito che si muove alla giustizia italiana da parte dell’opinione pubblica è rappresentato dalla lentezza dei procedimenti che spinge a considerare con particolare attenzione quel profilo di responsabilità dello Stato che si concretizza nella previsione di un’equa riparazione per la lesione del diritto alla durata ragionevole dei processi. La giurisdizione, recita il novellato art. 111 della Costituzione, si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un Giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Tutti i cittadini della Repubblica italiana sono uguali di fronte alla legge anche se appartengono a razze diverse, se parlano lingue diverse, se credono in un Dio diverso e sono di sesso diverso. L’uguaglianza significa che le differenze esistenti tra le persone non possono essere motivo di discriminazione e di trattamento differenziato. Il principio di uguaglianza fa sì che debbano essere eliminati o rimossi gli ostacoli sia fisici che morali che si frappongono ad una effettiva uguaglianza, è perciò strettamente legato al concetto di giustizia, in quanto implica la necessità di regolare con leggi il miglioramento delle condizioni dei meno abbienti e dei più deboli. In Italia il sistema politico si basa sulla separazione del potere legislativo (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica), esecutivo (Governo) e giudiziario (Magistratura). La Costituzione è la fonte principale del diritto. Le altre fonti sono i codici e le leggi emanate dal Parlamento e dalle Regioni, i regolamenti, gli usi e le consuetudini. Le leggi regionali vigono soltanto nel territorio della regione interessata e possono disciplinare soltanto materie specifiche la sanità, il commercio, l’istruzione, la ricerca scientifica, lo sport, i porti e aeroporti, la sicurezza sul lavoro e i beni culturali. I regolamenti sono strumenti normativi di rango secondario, che precisano le modalità di esecuzione di leggi nazionali e regionali. Esiste una gerarchia delle fonti del diritto. In base al principio dello Stato di diritto, una legge non può essere contraria alla Costituzione e un regolamento non può essere contrario a una legge ordinaria. L’art. 101 della Costituzione sancisce il principio che la giustizia è amministrata in nome del popolo. È in nome del popolo che i Magistrati agiscono. Non è solo la formula solenne con cui i Giudici pronunciano le loro decisioni: è uno dei fondamenti della giurisdizione, da intendersi nel senso della democraticità della funzione. I cittadini, in nome dei quali la giurisdizione viene amministrata, riconoscono “i loro giudici come garanti dei loro diritti”, ciò a cui è strettamente funzionale l’autonomia e l’indipendenza, garantita dalla Costituzione. Nelle aule giudiziarie si materializza quotidianamente il complesso rapporto, tra persone, potere e legge, dove

si decidono i destini e finanche la vita delle persone. La presunzione d’innocenza è una garanzia, addirittura la più rilevante garanzia processuale. Il processo serve per conoscere, per verificare l’ipotesi d’accusa, e siffatta verifica non può dirsi compiuta fino a quando non sopravviene una sentenza di condanna definitiva che consacra in modo irrevocabile la validità della tesi accusatoria. Questo è certamente il significato più profondo dell’affermazione costituzionale per cui nessuno può essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva. La presunzione di non colpevolezza è legata al modello garantista della giurisdizione, costituisce la prima e fondamentale garanzia che il

procedimento assicura al cittadino e il presupposto di tutte le altre garanzie. Sul piano dell’organizzazione giudiziaria le questioni più avvertite sono costituite dai problemi relativi all’insufficienza delle risorse dedicate alla giustizia Giudici e personale amministrativo di cancelleria. In pratica la realizzazione della ragionevole durata dei processi è assolutamente prioritaria e centrale in tema di giustizia. Il processo deve avere durata “ragionevole”, perché possa meritarsi l’appellativo di “giusto”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *