MORO-IMPASTATO: da Via Fani a Via Caetani, fino a Cinisi … nessuna verità !!

Aldo Bianchini

Aldo Moro a sinistra - Peppino Impastato a destra

SALERNO – Dopo 55 giorni di prigionia, era stato rapito il 16 marzo 1978 in Via Fani a Roma, Aldo Moro (presidente nazionale della D.C.) venne fatto ritrovare morto in una Renault/4 rossa parcheggiata in Via Caetani a metà strada tra la sede nazionale della DC (in Piazza del Gesù) e quella del P.C.I. (in Via delle Botteghe Oscure). Era la mattina del 9 maggio 1978, un lunedì, quando con una telefonata anonima le Brigate Rosse fecero ritrovare il corpo di Moro crivellato di colpi. Aveva ideato e lottato per l’affermazione del “compromesso storico” tra DC e PCI.

 

Soltanto qualche ora prima, nella notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, a 1.497 km. di distanza, in Sicilia, venne ritrovato il corpo del giovane giornalista siciliano Peppino Impastato, ucciso dalla mafia e abbandonato nelle campagne di Cinisi lungo i binari della ferrovia Palermo-Trapani  massacrato da una carica di tritolo; dapprima scambiato per il suicidio di un brigatista rosso mentre preparavo un attentato dinamitardo, venne poi individuata la vera causa della morte. Aveva lottato con tutte le sue forze dai microfoni di “radio-aut” contro i soprusi della cosca mafiosa facente a capo al notissimo Gaetano Badalamenti (ribattezzato Tano Seduto).

 

Entrambi, Moro e Impastato, vittime delle loro idee sostenute fino in fondo, a costo della vita. Per Moro quella mattina del 9 maggio si fermò il Paese; per Impastato nessuno seppe niente per qualche settimana.

Solo un elemento in questi quarantatre anni ha unito e caratterizzato i due tremendi delitti: la verità vera i brigatisti e i mafiosi non l’hanno mai detta e non la diranno mai, semplicemente perchè non la conoscono neppure loro fino in fondo, manovrati come furono dal grande vecchio che spesso ha condizionato la politica e la malavita organizzata”.

 

La reazione dello Stato, tardiva e imperfetta, è stata efficace soltanto per la rivoluzione dei brigatisti perché era una guerra quasi in campo aperto; per la mafia neppure il carcere duro del 41/bis ha risolto i molti problemi e lo Stato, forse, dopo i massacri di Capaci e Via D’Amelio si è piegato ad un patteggiamento scellerato che ha prodotto numerose nuove sciagure.

 

La reazione dei familiari delle vittime (Moro, Impastato e tanti altri) è stata molto diversa a seconda della condizione politico-sociale delle singole identità e della visibilità mediatica.

Mi piace, qui, ricordare gli uomini della scortsa di Moro massacrati la mattina del 16 marzo 1978 al momento del rapimento dello statista (Oreste Leonardo, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino e Giulio Rivera); Claudio Magris ha scritto sul Corriere della Sera del 16 marzo 2018, quarant’anni dopo l’eccidio: “Qualche tempo dopo l’assassinio di Moro, una sua strettissima congiunta inviò, a Natale, dei panettoni ai suoi uccisori. Le chiesi pubblicamente, sul Corriere, se si era ricordata di mandarne pure alle vedove dei poliziotti assassinati, anche considerando che, per chi vive con la pensione vedovile di un agente di pubblica sicurezza, oltre ad essere un segno di affetto, può essere anche un piccolo aiuto per il pranzo di Natale. Non ci aveva pensato.

 

Chi ha buona memoria ha l’obbligo, oggi, di ricordarli tutti allo stesso modo.

 

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