Sicurezza sul lavoro: parla anche il ministro … ripartiamo dalla LAIF

 

Aldo Bianchini

On. Dr. Andrea Orlando, ministro del lavoro

SALERNO – Dopo i disastrosi infortuni estivi che hanno provocato la morte di alcuni giovanissimi lavoratori, ecco che sulla scena irrompe anche il ministro del lavoro on. Andrea Orlando per dichiarare che “Non possiamo occuparci della sicurezza del lavoro soltanto quando accade un infortunio drammatico che richiama le coscienze di tutti”.

Entrai all’INAIL, dopo aver vinto un concorso pubblico, il 12 settembre 1964; in quel primo giorno di lavoro presso l’Ente che curava e cura la cultura della prevenzione (non il controllo, purtroppo !!) contro gli infortuni sul lavoro incentrai la mia attenzione, una volta a casa, sui rari tg della giornata; mi colpì l’affermazione che in tv fece l’allora ministro del lavoro On. Umberto Delle Fave, nominato il 23 luglio 1964, cioè il giorno dopo che la nostra Nocera Inferiore era stata funestata da un gravissimo infortunio con la morte sul lavoro in un capannone industriale di 6 lavoratori (di cui quattro in nero); ebbene in quell’occasione del mio primo giorno di lavoro dagli schermi Rai il ministro ebbe a dichiarare pressappoco così:  “Non possiamo occuparci della sicurezza del lavoro soltanto quando accade un infortunio drammatico che richiama le coscienze di tutti”.

Il ministro Delle Fave rimase al suo posto fino al 24 febbraio 1996 ma in quei pochi mesi non fece niente di niente; il tempo gli fu breve, ma nei successivi 55 anni non è che sia stato fatto granchè, anzi. Eppure in mezzo ci soni stati tanti morti e tate polemiche e, soprattutto, tante chiacchiere al vento; sulle macchine costruite per produrre prima di proteggere, sulle misure di sicurezza, sull’indolenza dei datori di lavoro, sulle distrazioni dei dipendenti; e siamo stati capaci soltanto nel 1994 di ricordarci che avevamo già dal 1955 un decreto ad hoc per la prevenzione, e ce lo siamo ricordato soltanto quando l’Europa detto un decalogo di punti fermi nella prevenzione con norme che probabilmente aveva copiato dal nostro decreto.

Per incominciare a smettere di fare soltanto chiacchiere, nell’attesa che qualche Istituzione si svegli e chieda lumi soprattutto in sede locale, ho provato a porre qualche sommessa domanda ad un personaggio che di sicurezza sul lavoro se ne intende in quanto ricopre il ruolo di presidente nazionale della LAIF (Libera Associazione Imprese Façoniste); alludo al dr. Carmine Traversa che ha creato la LAIF con Sede a Salerno e presenza su tutto il territorio italiano.

Non a caso ho contattato il dr. Traversa, perché il settore produttivo che è nel suo principale interesse è quello “tessile façonista”, che altro non è se non il settore da sempre più a rischio infortuni proprio perché, per tantissimi motivi organizzativi, è quello che involontariamente si espone al verificarsi dell’infortunio sul lavoro in generale; eppure quello façonista era ed è tra i settori che maggiormente contribuisco alla crescita

E’ stato un lungo e interessante ragionamento costruttivo alla fine del quale abbiamo, insieme, convenuto che: “Bisogna ricondurre i fatti ad una possibile matrice che è a monte di ogni episodio e che sicuramente ha un valore preponderante rispetto a tutte le possibili cause o concause. Qualcuno dovrà finalmente dire che nella filiera della subfornitura c’è l’origine del male, e che quindi la velocizzazione delle fasi di produzione è strettamente correlata alla scarsa redditività dell’impresa, determinata dallo strapotere dei committenti che impongono il cosiddetto “prezzo della commessa” che non tiene conto di tutte le componenti economiche che andrebbero normalmente riconosciute a chi lavora per conto di terzi. Per dirla breve, i façonisti lavorano a prezzi “scannati” a volte inferiori a quelli praticati nei paesi esteri ad alta povertà. Tale condizione di sottomissione “obbliga” i piccoli produttori a fare delle scelte sacrificali. Una volta paga l’uno, una volta paga l’altro. Alla fine paga sempre il façonista che risulta essere sempre l’unico indagato. Va anche bene così, ma sarebbe tanto meglio far uscire l’origine del problema dalla sua “casa blindata” e quanto meno esprimere delle riflessioni”.

E con questo articolo, nel nostro piccolo, abbiamo cercato di farlo.

 

 

 

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