Sicurezza – opportunità lavorative e infortuni: il progetto della LAIF

 

Aldo Bianchini

 

 

 

SALERNO – Come avevo anticipato nell’ultimo articolo (pubblicato il 12 dicembre scorso) dedicato alla sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro riprendo il discorso ripartendo da un interessantissimo progetto strutturato dalla LAIF (Libera Associazione Imprese Façoniste), con sede nazionale in Via Parmenide n.6 a Salerno – presieduta dal dr. Carmine Traversa) che da tempo sta lavorando a tutela soprattutto delle aziende associate ma anche con attenzione al sistema generale della prevenzione e della sicurezza.

L’abbassamento dei livelli di protezione individuale per i lavoratori è venuto alla luce soprattutto con la nascita della pratica delle esternalizzazioni delle lavorazioni fin dagli anni ’70, quando cioè incominciavano ad avvertirsi i primi sussulti di una globalizzazione che avrebbe invaso tutto e tutti; e questo in coincidenza con il dissolvimento di quel grande progresso generato dagli effetti del secondo dopo guerra che anche in Italia portò al famoso “miracolo economico”.

In pratica al famoso “modello fordista” (produzione elevata a costi contenuti) è subentrato il meno famoso ma più pratico “modello toyotista” (proveniente dal Giappone, nel lontano oriente) che consentiva il superamento della grande crisi economica surrogando anche specifiche peculiarità dell’altro sistema che solo all’apparenza era nettamente contrapposto. Ma le affinità più interessanti riguardavano la flessibilità e l’assenza di resistenze sindacali che i due metodi sono riusciti ad assicurare, ambedue ricorrendo, sia pure in modo diverso, all’esercizio dell’antica metodica del “divide et impera”.

La prima parte dell’interessante progetto della LAIF riguarda lo studio del sistema delle grandi imprese multinazionali che hanno stravolto il concetto originario che l’impresa produce guadagni diretti ma che tutela i lavoratori sotto ogni altro aspetto, ben alo di là di quello economico.

Nel progetto si legge: “””La grande disponibilità di manodopera femminile e la carenza di posti di lavoro sono state una componente essenziale del successo della Benetton: hanno permesso all’azienda ed ai laboratori del suo indotto di imporre qualsiasi condizione di lavoro senza che le operaie potessero efficacemente opporsi. Negli anni ’70 solo un esiguo numero di aziende, quelle che potevano usufruire di investimenti da utilizzare per una modernizzazione tecnologica e per un aumento delle proprie dimensioni, è riuscita a ritagliarsi un importante spazio nel mercato; per le altre è rimasta solo una posizione marginale.

La maggior parte delle aziende sono state relegate al ruolo di subfornitrici, e sono ricorse al lavoro nero o a quello a domicilio, dai quali non erano loro a trarre i maggiori benefici, bensì le aziende committenti. Il lavoro irregolare e mal pagato usato da queste aziende permetteva loro di avere solo un minimo ricavo tra i costi ed i bassi prezzi pagati dalle imprese che avevano commissionato la produzione; chi invece realmente se ne giovava erano queste ultime, che ottenevano costi medi del prodotto molto più bassi e margini di guadagno più consistenti. E’ stata questa situazione, inizialmente esistente in Veneto, che ha permesso alla Benetton di sviluppare, non a caso, il suo sistema basato sul contoterzismo. Per comprendere l’efficacia del sistema di produzione sviluppato dalla Benetton bisogna cercare di capire, anzitutto, le caratteristiche ed i vantaggi  del ricorso alla subfornitura.

Le imprese contoterziste facenti capo alla Benetton sono di piccole o, al massimo, di medie dimensioni, per lo più artigiane; dislocate in aree ristrette nei pressi degli stabilimenti dell’azienda committente, per non far lievitare troppo i costi dei trasporti. Formalmente sono indipendenti e la Benetton le vincola esigendo l’esclusiva della produzione o comunque una quota che non scende mai al di sotto dell’80%.”””.

Quindi due aspetti importanti evidenzia la prima parte del progetto LAIF: il contoterzismo e lo sfruttamento dei lavoratori, meglio ancora se donne.

E’ cambiato qualcosa rispetto agli anni 70-80 ?; credo di no, sostanzialmente lo sfruttamento si è anzi allargato a dismisura anche perché neppure la magistratura del lavoro è riuscita a mantenere il passo con l’eccessiva produzione a costi bassissimi, con ricadute ovvie sulla sicurezza.

Ma questo lo vedremo nei prossimi articoli.

 

 

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