La società cambia; la scuola non sempre lo fa (I parte) Vengo alle aree interne e allo spopolamento (II parte)

 

da Nicola Femminella

 

Prof. Nicola Femminella

Non prima però di rendere chiaro il concetto di complessità di cui ho parlato nell’articolo precedente (I parte), per dire come sia un ordine diffuso nel mondo. In occasione della Conferenza sul clima Cop26, tenuta a Glasgow, tra il 31 ottobre e il 13 novembre 2021 alla presenza di oltre 190 leader mondiali, si è chiesto ai rappresentanti della Cina e dell’India di condividere tutti i dispositivi discussi negli incontri tenuti, per contrastare il processo di surriscaldamento globale e il conseguente cambiamento climatico nei continenti. I quali hanno esposto alcune riserve e per alcuni punti qualche resistenza, prima di raggiungere un accordo cintato da qualche compromesso. I due colossi hanno complessivamente una popolazione di quasi 2 miliardi e 800.000 mila abitanti da sfamare e i due ordini di problemi – pericolo incombente e azione di contrasto – contengono dati non del tutto conciliabili. Ne deriva un dibattito difficile, perché il problema della salvaguardia del pianeta è, appunto, complesso. In Italia si richiedono le auto elettriche che però determineranno 70.000 licenziamenti con altrettante famiglie a dover fare i conti con licenziamenti e cassa integrazione. Un altro problema complesso. Finanche la vaccinazione per il Covid è risultata una diatriba complessa. E così centinaia di questioni con una unica caratteristica: la complessità. Per la quale la scuola deve necessariamente formare gli studenti, affinché sappiano rapportarsi ad essa, operando approcci risolutivi per il loro futuro. Gli alunni non hanno bisogno di nozioni, le trovano su Internet e lo fanno, talvolta, con risultati migliori dei docenti. Devono, invece, saper usare le categorie della mente e porre in atto i comportamenti idonei appresi nella comunità-scuola insieme ai compagni e, nel caso nostro, saper superare le condizioni avverse che insistono sulle aree interne, per individuare le determinazioni inedite, da intraprendere sul campo. Se vogliamo che restino in questi luoghi con poche occasioni invoglianti, devono affrontare con coraggio gli ostacoli inestricabili, causati da accumuli di ritardi e interventi sterili. Devono imboccare strade nuove, chiedendo alle istituzioni abilitate a gestire le questioni occupazionali, non sussidi inutili ma progettualità e risorse stabili per un tempo accettabile.

Dello spopolamento discutono da alcuni anni politici e osservatori di molti ambiti disciplinari.  È un fenomeno che interessa anche il Cilento e i sindaci stanno mettendo in essere in questi mesi iniziative per utilizzare i fondi del PNNR. Questi propongono il sud e le aree povere come destinazione privilegiata dagli accordi intercorsi tra l’U.E. e l’Italia. Se ne sono fatto carico nel Cilento il presidente delle aree interne Michele Cammarano, il sen. Francesco Castiello, i nostri politici e i sindaci.

Conosciamole meglio le aree interne, così come le hanno definite ministeri e regioni per farne poli comprensoriali nei quali intervenire. Sono vaste aree, caratterizzate dalla distanza che le separano dai servizi primari, vitali per le comunità, quali istruzione, salute, mobilità. Ne fanno parte oltre 4.000 comuni, nei quali vivono 13 milioni di abitanti, classificati a partire dal 2012 in base a criteri che contemplano come indicatore principale la distanza da un ospedale di d.e.a., dalla stazione ferroviaria, da un istituto scolastico di scuola superiore, ecc. Gli indicatori servono per organizzare gli strumenti legislativi di soccorso, volti al recupero delle negatività più stringenti, che determinano l’abbandono di molti piccoli abitati. Così si scopre che nel servizio scolastico esiste un numero alto di pluriclassi, nel 39% dei paesi manca una scuola media, nell’80% dei comuni interni non esiste un istituto superiore, in taluni s’impiega un’ora per arrivare ad un ospedale, in altri si devono percorrere decine di km per raggiungere una stazione ferroviaria.

Queste aree, a partire dalla fine della guerra mondiale, hanno subito un impoverimento costante, che nel tempo ha visto l’invecchiamento della popolazione, la scomparsa di servizi essenziali, la dispersione di giovani nell’agricoltura, nelle attività artigianali, la chiusura di piccoli esercizi commerciali, una scuola priva di fermenti innovativi, con una ripresa dei flussi emigratori giovanili che hanno determinato un decremento demografico. Le colline sono abbandonate a se stesse; private della presenza umana e di interventi stagionali, patiscono il dissesto idrogeologico.

Per porre riparo a tali incombenze e creare un’azione mirata e volta a soccorrere le criticità enumerate, che stanno alimentando uno spopolamento in progress, le forze politiche hanno disposto[UW1] la Strategia Nazionale per le Aree Interne. Un filo diretto tra le centrali del governo e quelle decentrate nelle aree interne. Un così vasto territorio non può essere abbandonato, alimentando un sovraffollamento nelle città urbane, perché lo squilibrio apporterebbe danni irreversibili all’intero Paese. Sono state nominate commissioni specifiche a livello regionale. Quella per la regione Campania, la presiede l’on. Cammarano eletto il 8-2-2021, di cui riporto la dichiarazione, fatta appena eletto:

“… La Commissione Aree Interne… deve rappresentare uno strumento per restituire voce e diritti a comunità per troppi anni emarginate e a cui abbiamo il dovere di restituire servizi negati. Partiamo da un presupposto evidente: la Campania è, ad oggi, la regione che presenta i maggiori contrasti demografici fra aree interne e urbane: da un crescente spopolamento a un tasso di disoccupazione sempre più preoccupante, dall’offerta in calo di servizi pubblici e privati, al dissesto idrogeologico e al degrado del patrimonio culturale e paesaggistico. L’obiettivo di questa Commissione sarà raccordare le indicazioni strategiche provenienti dal Governo centrale con le esigenze specifiche dei territori, delle comunità e dei comuni coinvolti… Abbiamo il dovere di sfruttare al massimo le capacità rurali di questi territori, declinate attraverso una enogastronomia che il mondo ci invidia, e le enormi potenzialità paesaggistiche, sfruttandole nella direzione di un turismo alternativo. Dobbiamo uscire dall’idea superata di uno sviluppo urbano incondizionato che ha prodotto tensioni ambientali e sociali, e aprirci a una rivalutazione delle economie rurali e creare un’altra idea di crescita”.

Prima, il 31 Dicembre 2019 c’era stata la “Relazione sullo stato di attuazione – La Strategia Nazionale delle Aree Interne in Campania”, un documento importane, in cui è scritto:

“La Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) rappresenta una azione diretta al sostegno della competitività territoriale sostenibile, al fine di contrastare, nel medio periodo, il declino demografico che caratterizza le aree interne del Paese. L’obiettivo è creare nuove possibilità di reddito e di assicurare agli abitanti l’accessibilità ai servizi essenziali (trasporto pubblico locale, istruzione e servizi socio-sanitari) nonché di migliorare la manutenzione del territorio stesso. La SNAI è sostenuta sia dai fondi europei (FESR, FSE e FEASR), per il cofinanziamento di progetti di sviluppo locale, sia da risorse nazionali. La parola chiave di questa nuova sfida è stata “complessità” intesa come il numero di elementi e soggetti interagenti, non a caso nel sistema di Monitoraggio l’IGRUE ogni APQ viene classificato come progetto complesso.” Emerge, qui chiaramente, la necessità di un sistema educativo, dove gli alunni siano indotti, nel fare scuola di ogni giorno, ad “assumere dosi abbondanti” di didattica operativa corroborata da brainstorming, problem solving, circle time, strumenti noti ai docenti, per dirimere questioni complesse e trovare le giuste soluzioni (ne ho parlato nell’articolo precedente – parte 1).

Nel prossimo continuerò il mio viaggio nelle aree interne, considerate un capitolo di massima rilevanza della Questione Meridionale, al quale i nostri sindaci, le comunità e i giovani devono prestare la massima attenzione. Continuerò a farmi veicolare dalla parola complessità, per verificare se tale termine indica un dogma inestricabile, una condanna inestirpabile per il sud, comminata da un dio crudele, oppure una difficoltà oggettiva che può tramutarsi in fattualità possibile.

 

 

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