19 luglio 1992, a trent’anni dall’anniversario della morte del magistrato Paolo Emanuele Borsellino , chi ha azionato la bomba e che fine ha fatto l’agenda rossa? “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica ‘’.

 

da Pietro Cusati

Il 19 luglio 1992,ore 16.58 ,la strage di Via D’Amelio a Palermo, dopo  57 giorni dall’uccisione di Giovanni Falcone, dove persero la vita il magistrato Paolo Emanuele Borsellino e gli uomini della scorta: Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. Borsellino prima della sua morte, era preoccupato per la sua famiglia e per gli uomini della sua scorta:  “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Roberta Gatani, nipote di  Paolo Emanuele Borsellino,  gestisce con i volontari la casa di Paolo , facendo doposcuola per dare un’alternativa ai ragazzi :’’Zio Paolo chiese a suo figlio di dare il motorino al figlio di un boss morto in un agguato di mafia perché non avrebbe avuto la possibilità di lavorare altrimenti  sarebbe finito come suo padre». Paolo Emanuele Borsellino,laureatosi con lode in giurisprudenza presso l’Università di Palermo  nel 1962, partecipa nel 1963 al concorso di accesso alla magistratura  divenendo  il più giovane magistrato italiano. Nel 1967 diviene  Pretore di Mazara del Vallo e, successivamente, Pretore di Monreale dove lavora con il capitano dei Carabinieri Basile . A seguito dell’omicidio del capitano Basile in un agguato della mafia palermitana, Paolo Emanuele Borsellino e la sua famiglia sono protetti dal servizio di scorta. Dal 1975, Borsellino lavora presso l’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo e  instaura un rapporto  professionale con il giudice Rocco Chinnici .  Dopo l’omicidio di Chinnici nel 1983, a capo dell’Ufficio è nominato Antonino Caponnetto; egli, comprendendo le potenzialità del coordinamento delle indagini e dello scambio di informazioni tra magistrati addetti, instaura pertanto il c.d. “pool antimafia” di cui fanno parte  ,oltre a Caponnetto e Borsellino , anche Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Grazie a questa iniziativa e al generale miglioramento delle capacità investigative anche sotto il profilo degli accertamenti bancari e patrimoniali, il pool ordina numerose misure di custodia  iniziando a ricevere le prime dichiarazioni di collaboratori di giustizia essenziali per l’istruzione del  maxi processo. Nel 1985, per ragioni di sicurezza, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono ospitati nella foresteria del carcere dell’Asinara per la redazione degli atti necessari alla preparazione del maxi processo  che si concluderà a Palermo nel 1987 con 342 condanne. Nel dicembre 1986, Paolo Emanuele Borsellino è nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. Nel 1992, dopo il congedo di Caponnetto dall’Ufficio istruzione per motivi di salute e il trasferimento di Falcone a Roma quale Direttore degli Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia, ritorna al Tribunale di Palermo come Procuratore aggiunto per coordinare l’attività distrettuale antimafia. La strage di Capaci del 23 maggio dove perse la vita Giovanni Falcone provocò in lui una profonda sofferenza. Il pomeriggio del 19 luglio 1992, Paolo Borsellino era diretto verso la casa della madre dopo aver pranzato con la famiglia a Villagrazia di Carini. Un’auto carica di tritolo parcheggiata in via D’Amelio veniva fatta esplodere cagionando la morte del magistrato e dei cinque agenti della scorta. Al funerale  partecipò una folla di circa 10.000 persone, il giudice Caponnetto,  ebbe a dire: “Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi”. Falcone e Borsellino entrambi stavano per scoprire verità sconvolgenti .In un convegno ,fumò durante tutta la sua durata ,Paolo Borsellino rispose ad una domanda :’’Si temo per la mia vita e soprattutto per quella delle persone che mi sono vicine, dai miei familiari agli uomini della mia scorta”. “So che la mafia vuole la mia morte come quella del mio fraterno amico Giovanni Falcone ma penso che se moriremo non sarà solo per volere della mafia ma per una serie di concause che vanno dal nostro isolamento fino alla complicità delle istituzioni colluse e corrotte”, strinse la mano a tutti, nessuno escluso e andò via. Paolo Borsellino, la bontà d’animo ,un uomo di ammirevole onestà e di grande integrità morale, una persona che viveva una vita semplice e trasparente e che si schierava subito a fianco di chi aveva subito un’ingiustizia. E’ stato ammazzato perché era vicino a verità sconcertanti. Falcone era in sostanza un innovatore, Borsellino era più tradizionalista ma efficace e incisivo come il suo collega Giovanni,amici per la pelle, sempre, un binomio indissolubile e probabilmente ha deciso anche la cattiva sorte di entrambi.

 

 

 

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  1. “Se la gioventù le negherà il consenso, anche la mafia svanirà come un incubo”. L’eredità dei giusti, IL SUONO DEL SILENZIO, Falcone e Borsellino,due magistrati che hanno dato la vita affinché l’Italia sia parte di un Paese in cui la legge non è un optional, ma una condizione di vita per tutti. Non li avete uccisi,ore 16,59, a 30 anni dalla strage, “Coloriamo via d’Amelio ‘’, in memoria del giudice Paolo Borsellino e dei cinque agenti della scorta,Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, assassinati trent’anni fa il 19 luglio 1992.”Avremmo voluto celebrare il trentesimo anniversario con una vittoria sulla mafia e quindi con la scoperta della verità, purtroppo sarà anche quest’anno solo un appuntamento rimandato”,ha detto Salvatore Borsellino, fratello del magistrato. “Sono stati celebrati numerosi processi ma ancora attendiamo di conoscere tutti i nomi di coloro che hanno voluto le stragi del ’92-’93. Abbiamo chiaro che mani diverse hanno concorso con quelle di Cosa Nostra per commettere questi crimini ma chi conosce queste relazioni occulte resta vincolato al ricatto del silenzio” . “Ora chiediamo noi il silenzio , Silenzio alle passerelle. Silenzio alla politica. Perché invece di fare tesoro di ciò che in questi trent’anni è successo, ci accorgiamo che la lotta alla mafia non fa più parte di nessun programma politico”.

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