MIGRANTI: la Chiesa che vorrei … dal Vescovo di Teggiano in poi !!

 

Aldo Bianchini

Una foto che la dice lunga e tutta: l'atteggiamento umano e caritatevole del Vescovo padre Antonio De Luca che accarezza lievemente un neonato extracomunitario appena sbarcato dalla Ocean Viking. E colpiscono gli occhi del neonato che sembrano quasi ringraziare il Vescovo.

SALERNO – Spesso non si ha il coraggio di scrivere ciò che si pensa, ovvero di scrivere ciò che si pensa dopo aver letto, ascoltato, visto e meditato. Purtroppo c’è un’esasperata attenzione nell’arrivare primi sulla, per poi abbandonarla altrettanto velocemente ed inseguire altre notizie.

Tutti hanno pubblicato la notizia della presenza nel porto commerciale di Salerno di S.E. padre Antonio Vincenzo De Luca, vescovo di Teggiano – Policastro, che dall’alto del suo magistero ha illuminato la scena, sempre pietosa, dello sbarco di alcune centinaia di migranti che ritornano da noi dopo la parentesi tragica del Covid.

S.E. De Luca, è bene ricordare, è il delegato Caritas della Conferenza Episcopale Campana, che lunedì mattina (1° agosto 2022) era al porto di Salerno, insieme ai volontari dell’organismo della carità della sua diocesi e di Salerno-Campagna-Acerno, per far sentire la vicinanza della chiesa ai migranti appena sbarcati.

Questa in estrema sintesi la notizia inerente la Chiesa che si mette al servizio di “poveri erranti” in cerca di un habitat congeniale alle loro abitudini, tradizioni e attitudini ed anche di un aiuto concreto e ravvicinato per superare le enormi difficoltà di una posizione molto difficile in un Paese che, se non chiaramente ostile, è inondato da tante perplessità sull’accoglienza indiscriminata e senza una pur necessaria selezione anche in funzione delle necessità che tutti noi conosciamo ed evidenziamo giorno dopo giorno.

Non è con questo articolo che voglio trattare una materia così complessa, articolata e farraginosa; oggi voglio soltanto evidenziare la specifica missione che la Chiesa ha e deve esercitare nei confronti delle nostre istituzioni e, soprattutto, verso gli extracomunitari in cerca di un ragione di vita concreta; senza mai dimenticare l’enorme lavoro svolto in questi ultimi anni da “don Vincenzo Federico” che con le sue associazioni di volontari ha prodotto un “modello organizzativo-ricettivo” che è stato copiato in tutto il Paese e che ha dato alla Conferenza Episcopale Campana (CEC) la possibilità di attribuire proprio al Vescovo di Teggiano-Policastro l’onore e l’onere di rappresentarla a livello regionale nei momenti della giusta, caritatevole, umana e doverosa accoglienza.

E su questo quadro operativo si è stagliata con forza e autorevolezza la figura di “padre Antonio De Luca” che ha saputo prima frenare le polemiche sulla produttività dell’azione di “don Vincenzo Federico” e disciplinarla al meglio  per poi ripartire con lui verso traguardi davvero inattesi e inaspettati; quelli che esprimo non sono pensieri in libertà e neppure fantasiosi, sono basati esclusivamente sulla storia di fatti passati e recenti che hanno comunque coinvolto la diocesi retta da padre Antonio. Una diocesi sulla quale spesso ho fermato la mia attenzione evidenziando anche le problematiche ad essa legate per via di alcuni atteggiamenti monocratici rimarcati dallo stesso Vescovo con cui è stato sempre possibile chiarire in maniera molto democratica.

Il Vescovo di Teggiano-Policastro circondato dai suoi volontari

Lunedì mattina il Vescovo di Teggiano-Policastro è riuscito ad esercitare il suo ruolo di “pastore di anime” nell’ottica del migliore spirito missionario-caritatevole della Chiesa Cattolica e Romana tenendo ben presente le insormontabili differenze che contraddistinguono le due sfere di competenza tra il civile ed il religioso senza rinunciare ad entrare in punta di piedi (e non come un elefante in cristalleria, come qualche volta la Chiesa ha fatto) in un ambito appannaggio quasi esclusivo della politica e del sociale.

La sua benedizione ai migranti (tra i quali oltre cento bambini) non è stata soltanto un atto formale e religioso, piuttosto un modo di vedere le cose dall’alto di quello “scranno temporale” che può e deve impartire lezioni di vita a tutti, politici compresi.

Ecco, è più o meno questa la “Chiesa che vorrei”.

 

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