Marano: tra arte e cassetta!!

Aldo Bianchini
Salerno – E’ morto un artista, questo è certo. Non so, sinceramente, se è stato o meno un grande artista, ai posteri l’ardua sentenza.  Di sicuro ha rappresentato uno spaccato vero della nostra storia recente. E’ stato un faro, una sorta di guida, anche spirituale, per tantissimi giovani aspiranti artisti in questi ultimi quarant’anni. E non è poco. Sempre fuori delle righe, eclettico, chioma incolta e ispida, abbigliamento casual tendente all’inguardabile, barba al naturale, e sandali al posto delle scarpe. Il look rifletteva il suo carattere, anche ribelle, e la sua estrema versatilità artistica mai ricercata ma naturale e spontanea. Lo conobbi sul finire degli anni ’90, la sera in cui venne inaugurata la fontana di Corso Garibaldi di fronte alle poste centrali. Mentre tutti plaudivano all’opera d’arte più per ingraziarsi il pomposo De Luca (che anche in quell’occasione parlò solo lui lasciando all’artista un piccolissimo briciolo di visibilità!!) io soltanto, nel corso dello stand-up televisivo (Quarta Rete, ndr!!) che registravo sul posto, definii quella presunta opera alla stregua di una “vasca per idromassaggi”. Ebbi ragione, dopo tanti anni posso dichiararlo, e la fontana dopo non  più di un paio d’anni è stata letteralmente depredata e poi trasformata in una fioriera. Che schifo e che riconoscenza da parte dell’Amministrazione Comunale. Il costo di quell’opera grida, comunque, ancora vendetta. Quell’inaugurazione rappresentò l’inizio della fase calante dell’artista esuberante che, forse, si era reso conto che occorreva anche far cassetta per poter andare avanti. E lo fece nella maniera più sbagliata possibile, stringendo un’alleanza, quasi un patto di ferro, con  il prof. Pasquale Persico. Entrò subito nel gotha del PD e gli incarichi fioccarono l’uno dopo l’altro, anche nel profondo Cilento e nel Parco Nazionale. Alle falde del Monte Cervati fino a qualche anno fa c’era il suo “tavolo del paradiso”, uno stilizzato tavolo di ferro con ottanta coppe a rappresentare gli ottanta comuni del Parco. Un’opera costata circa 100mila euro e finita non si sa dove nel giro di pochi anni. Grazie a Persico e al PD rimase sulla cresta dell’onda per alcuni anni, poi mano a mano che il suo connubio con l’eminente docente incominciava ad incrinarsi anche lui ritorno nell’ombra e nell’oblio. In lui aveva prevalso lo spirito dell’artista, del grande artista autonomo e in condizionabile, come era giusta che fosse, come era nel suo speciale carattere. Lo avevo conosciuto, dicevo, quella sera dell’inaugurazione della fontana di Corso Garibaldi e da allora si era creato tra noi due una specie di feeling basato sulla correttezza e sulla autenticità del rapporto. Una sera nel corso di una manifestazione, molti anni dopo la nostra conoscenza, mi disse che su quella fontana avevo in un certo senso ragione, almeno perché ero stato l’unico ad esprimere in libertà il giudizio sull’opera. Ci chiamavamo per nome e ci eravamo ripromessi di andare insieme a cena una sera, non è mai accaduto, purtroppo. Di lui mi rimarrà impressa nella memoria una strana immagine. Una sera di tanti anni fa, in un paesino del Cilento, dopo aver presentato una delle sue opere (una gigantesca anfora di ferro con dentro raffigurate le scene tipiche del Parco), si mise sotto il “portale” di un antico palazzo signorile e beffeggiava la gente che era accorsa per ammirare la sua opera. Qualcuno sottovoce mi chiese se stava bene, risposi che era un artista, un grande artista che amava esternare quello che pensava, dal vivo, anche simulando lo sbeffeggiamento della gente. Era portatore di una grande umiltà, quella che contraddistinguono i veri artisti, ed aveva stretto una sincera amicizia con un giardiniere del Comune di Sassano “Alfonso” che spesso invocava a gran voce per investirlo di compiti molto più grandi delle sue stesse capacità ottenendone in cambio una fedeltà assoluta. Anche questo era Ugo Marano.

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