Roma: testimonianza diretta

Antonio Citera
Testimonianza diretta di un giorno di paura…..Roma 15 ottobre 2011-10-16. La testimonianza di chi ha vissuto l’incubo ed il terrore dei black bloc.
Roma – Che non si trattava di una come tante manifestazioni che in altri tempi si sono svolte,in maniera pacifica,lo si era capito subito, fin dal “concentramento” in piazza della Repubblica. Nonostante la stragrande maggioranza delle centinaia di migliaia di manifestanti decida di manifestare la propria indignazione pacificamente, la porzione di tute nere, i famigerati e temuti black bloc, è ben visibile fin dai primi minuti. I primi che si fanno vedere arrivano da Padova: camminano, vanno al centro della piazza, srotolano un grande striscione rosso con scritta nera: “Il capitalismo non si riforma, si abbatte“. Firmato: le compagne padovane. Non sorridono, sono tesi, guardano diritti a loro. Ragazzi e ragazze. Ma poi ne compaiono degli altri, quasi ad ogni intersezione con le traverse delle vie principali. Giovani, giovanissimi, vestiti di nero integrale, preferibilmente con felpe e cappucci. Ma nessuno pensa possibile quel che poi sarebbe successo. Qualcuno, già dopo i primi passi, si lamenta perché il corteo sarebbe stato troppo politicizzato da Rifondazione Comunista, e seppure la presenza delle bandiere di Rifondazione è preponderante, no, si capisce ben presto che questo è un corteo dalle tante anime e, però, sul fondo cova una anima nera non governabile e ingestibile. Ci sono i No Tav, i No Dal Molin, Sel, i Cobas, quelli del Partito Marxista-Leninista, gli stranieri, qualcuno del popolo viola, tanta gente comune, ma agli angoli dei marciapiedi si accalcano già giovani vestiti di nero, con caschi in mano, pronti all’uso. Spuntano un poco ovunque le prime bandiere anarchiche, poi è la volta dei drappi interamente neri o anche neri e rossi, con taglio diagonale. L’atmosfera resta ancora gioiosa, comunque, con alcuni camioncini cercano di diffondere con l’immancabile raggamuffin’ in romanesco, o persino la disco music. Ci sono tanti bambini ma appena ci si affaccia verso via Cavour l’aria cambia: un ragazzo in carne, vent’anni, cappuccio in testa e fazzoletto nerorosso sul volto, si crea spazio al centro dl corteo e accende un fumogeno, che poi getta di lato. Scoppiano alcune bombe carta. Poi altre vengono gettate in un cassonetto sulla destra, si alza un poco di fumo, c’è la prima calca. C’è tensione e come si entra in via Cavour ecco il segno di questi nichilisti del 2011: vetrina di un piccolo minimarket a pezzi, il proprietario che è livido in volto (avrà quarant’anni) e resta lì fuori, mani conserte, a proteggere ciò che non ha più protezione. Le altre vetrine del negozio sono molto danneggiate. Giornalisti, fotografi, videoperatori ma anche tante persone si fermano e fotografano o filmano. Non si fa a tempo di capire chi e cosa sia stato, che si alza il primo pennacchio di fumo della giornata. Si spera sia l’ultimo, il seguito sarà inimmaginabile ovviamente. Ci sono delle auto date alle fiamme, il corteo infinito si blocca. Fermato. Arrivano i Vigili del Fuoco, spengono le fiamme, e alcuni black bloc mutuano i cori delle curve di calcio passando lì vicino: “Rispettiamo solo i pompieri”.Non c’è tempo per ripartire perché via Cavour è già segnata. Una vetrina di Poste Italiane assaltata, un piccolo distributore di benzina semi-distrutto, altre due automobili bruciate. Loro, i black bloc, appaiono e scompaiono nonostante il corteo li scacci a suon di cori e forse pure qualche ceffone. I cordoni di vigilanza dei singoli gruppi vengono serrati per impedire infiltrazioni, ma il corteo è davvero lungo e frastagliato e queste prime azioni hanno impaurito già molti, che preferiscono scegliere le vie laterali per raggiungere Piazza San Giovanni, luogo fino ad oggi sacro alle manifestazioni e ritenuto ancora tale, e invece violentato, più tardi, da una guerriglia urbana violenta e cruenta. Così succede che questi giovinastri  si accrescano di numero a bordi del corteo sfilacciato: caschi, qualche bastone, mazze da baseball: “Gli si è fracassata mentre cercava di distruggere una vetrina blindata”, racconta un testimone. Vanno e vengono e poi ad un certo punto, non si capisce quanto casualmente quanto pre-ordinatamente, si raggruppano. Siamo poco dopo il Colosseo, in via Labanica: i manifestanti sono tesi e impauriti, certo, ma in molti pensano che il peggio sia passato. Invece nel momento in cui il corteo appare come un infinito formicolare di teste, ecco che in prossimità della testa (ma è difficile quantificare con esattezza) compaiono almeno 3-400 persone tutte con il casco (tutti nero o quasi). Scoppiano alcune bombe carta e c’è un tentativo di assalto a Palazzo Manfredi e alle sue inferriate. I manifestanti tentano ancora di isolarli al grido di “buffoni, buffoni”, ma adesso c’è il primo strappo secco: lancio di oggetti in area, bombe carte che feriscono un militante di Sel che perde due dita, inizia un fuggi-fuggi che spezza definitivamente in due il corteo e rompe anche il senso della manifestazione. Erano Indignati, adesso sono Impauriti. l’impressione è che possa accadere qualsiasi cosa in qualsiasi momento, qui siamo in via Labicana e la strada è stretta e il pericolo è di rimanere imbottigliati. C’è paura perché non si sa che fare. Se approdare nelle strade laterali e finire magari in qualche imboscata incontrollata, o restare all’interno di un servizio d’ordine sperando non accada nulla. Scoppiano delle bombe carta, si sta fermi, decidiamo di allontanarci ma comunque raggiungere Piazza San Giovanni. Lo dico proprio: “In Piazza non può succedere mai nulla, questi qua approfittano dei cortei, ma in piazza sono fermi, non succede nulla”.Così costeggiamo via San Giovanni in Laterano, insieme ad altre migliaia, mentre è chiaro che la guerriglia fino ad ora è stata soltanto annunciata: si sentono continue esplosioni di bombe carta, il sottofondi degli elicotteri è diventato persistente sopra le nostre teste. Arriviamo così in Piazza San Giovanni vedendo, lontano, il corteo, ormai spezzato in tanti tronconi. Eppure non era immaginabile quel che sarebbe accaduto. La piazza si va via via riempiendo, è occupata da manifestanti del tutto pacifici, anche molti adulti e anziani – l’età media del corteo resta comunque bassa. Ma arrivano loro, la frangia violenta, guidata da un camioncino che spara con gli altoparlanti la rabbia frustrata e completamente nichilista di chi si è impossessato di una manifestazione per i grandi fuochi finali. Non è Guy Fawkes e la sua maschera beffarda ma comunque sorridente l’emblema di questa giornata – come molti avevano immaginato – ma uno scontro totale e pericoloso.Succede di tutto: mentre decine di migliaia di persone si riversano in piazza sperando di trovare qui la calma placida degli oceani, scoppia il finimondo. Lo annuncia chiaro e tondo l’altoparlante del camioncino: “Volevate Atene, volevate Barcellona, volevate Londra, volevate il conflitto, mo’ il conflitto ve lo abbiamo portato sotto casa” e via improperi sui “borghesi democratici”.E succede il finimondo. Resto con la mia videocamerina in azione mentre fanno ingresso in Piazza San Giovanni centinaia e centinaia di tute nere e di estremisti, armati quasi tutti di casco. Forse, alla fine, saranno un migliaio, forse due. Che succede adesso? Sembra il momento di calma prima della battaglia, e così è infatti: la dinamica non è chiara ma la polizia è costretta a rispondere alle continue provocazioni. Nessuna dietrologia è possibile, come in altri casi magari si è pensato. Lo scontro è stato cercato e voluto dai black bloc, fino alle estremi provocazioni. Si potrà riflettere se la guerriglia continuata in Piazza San Giovanni abbia un senso o meno, ma questi sono dettagli. Chi voleva guerra, guerra ha avuto. Parte la prima carica delle camionette della polizia. Cerco mia moglie vicino a me, ma è solo un refrain per non perdersi nella moltitudine. Idranti in azione, adesso: ed è una fuga di migliaia e migliaia, violenti e incolpevoli, giovani e anziani, donne e uomini: così, per forza. La prima carica di Piazza San Giovanni è il paradigma delle ore che seguiranno: i violenti rinculano, ma qualcuno sfida gli idranti aprendo le mani e chiedendo ancora acqua, quasi non sentisse nulla. Tutto avviene davanti a noi, a 10-15 metri: per proteggerci dalla prevedibile fuga siamo saliti sopra una panchina di piazza San Giovanni, e come uno scoglio in un mare siamo rimasti fermi mentre intorno a noi la marea umana fuggiva: restiamo in quattro, lì sopra, e come parte la contro-offensiva con lancio di pietre, sassi, bottiglie, capiamo che è il momento di fuggire. Corriamo, e tanti altri con noi, fino a scavalcare le transenne a protezione della chiesa di San Giovanni. Resto con la videocamera accesa mentre corro, intorno è una fuga collettiva e a 50 metri, poi 100, c’è la guerra urbana. Finiamo schiacciati contro i cancelli della chiesa, insieme a noi tante altre persone, tante donne che cerchiamo di rassicurare: No, qui non ci arrivano, ci sono le scale. Vallo a sapere. La Piazza diventa una trappola perché mentre molti pensano di fuggire, un numero di gran lunga superiore invece accorre, ignaro di quel che accade. Sono minuti molto strani perché la calca non sa che direzione prendere. I telefonini squillano: si cerca di rassicurare un po’ tutti, familiari, amici. La lotta è totale, i blindati della polizia e quelli della Guardia di Finanza sono lì, fanno avanti e indietro. Sinceramente c’è la sensazione che a tragedia di Genova 2001 sia lì, a portata, quasi cercata. Non si sa che fare perché ci dicono, al telefono, che anche in via Cavour è ancora scontro totale. Fuggire? Aspettare? Poi ovviamente si va via, non si sa dove andare ma l’importante è allontanarsi, andare via, riflettere.

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