“Primavera araba”, islamici e dittatori

Maria Chiara Rizzo

Lo scenario che si presenta agli occhi di tutto il mondo, all’indomani delle elezioni e dei tumulti della primavera araba, si contraddistingue per la schiacciante forza degli islamici nei Paesi dell’ Africa mediterranea e non per i giovani coraggiosi che hanno rischiato e perso la vita nelle piazze in nome della libertà. E così tornano a casa con l’amaro in bocca uomini, donne e giovani scesi per mesi nelle strade a rivendicare diritti e libertà, ma che rimarranno una voce fuori dal campo, rimasta indelebile solo sui siti dei social network. Non saranno rappresentati da formazioni politiche e la loro lotta ha finito per spianare la strada a partiti militanti ben organizzati. In Marocco e ancor di più in Tunisia e in Egitto hanno trionfato gli islamici che sono rimasti a guardare l’evolversi degli eventi della rivoluzione senza scomodarsi.  L’università americana del Maryland ha diffuso i risultati di un sondaggio realizzato in cinque Paesi – Libano, Egitto, Giordania, Marocco ed Emirati arabi- in cui la potenza straniera che suscita maggior ammirazione è la Turchia. Il modello turco, rappresentato oggi dall’AKP di Erdogan, Partito di Giustizia e Sviluppo di matrice islamica conservatrice, è quello più avanzato tra i Paesi musulmani in cui vige la separazione tra religione e stato. Il premier turco ha sostenuto in diverse interviste rilasciate ad organi di stampa occidentale di essere musulmano, ma di vivere in uno stato laico. Un segno di cambiamento è evidente anche nei Paesi della primavera araba: tutti i movimenti islamici, incluso quello degli estremisti e ultraconservatori salafiti, concorrono alle lezioni affinché il loro mandato passi attraverso la legittimità elettorale.  Ma la vittoria di formazioni politiche islamiche è stata fortemente sostenuta, anche se involontariamente, dai poteri dei dittatori che, come Mubarak in Egitto e Ben Alì in Tunisia, hanno cercato di sradicare tutte i raggruppamenti laici, creando il vuoto tra loro e gli islamici, guadagnandosi, questi ultimi, lo status di unica forza di opposizione seria durante la dittatura e legittimata da anni di militanza e di dedizione al sociale.  Quanto all’Europa e agli Stati Uniti, il loro potere di influenza è stato minimo, nonostante i finanziamenti erogati sottobanco per alla formazione di blogger nordafricani. I dittatori nordafricani sono stati scacciati dal loro stesso popolo.

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