Gambino/26: la subornazione !!

Aldo Bianchini

PAGANI – Come ho già scritto in una delle ultime puntate di questa lunga telenovela giudiziaria, ribadisco oggi con maggiore convinzione che il “caso giudiziario” che sta travolgendo l’ex sindaco di Pagani ed ex consigliere regionale Alberico Gambino mi appare come un immenso e strano intrigo. In una delle sue ultime esternazioni ha detto benissimo il pm Vincenzo Montemurro quando riferendosi al caso di che trattasi ha detto penso che la società civile di Pagani abbia tanto da imparare da questo processo. Io la penso esattamente come il pm e credo fermamente che da questo processo “la società civile di Pagani (e non solo!!) e la giustizia in genere abbiano tanto da imparare” ma in forma diversa da come il caso viene prospettato. L’ultima trovata della procura salernitana è davvero incredibile, una trovata che viene propalata da una stampa che nella sua quasi totalità si appiattisce più facilmente sulle posizioni dell’accusa dimenticando che nel “nostro ordinamento” processuale esiste anche la difesa e che, soprattutto, esiste anche un “giudice”. L’ultima trovata consiste nell’accusa di “subornazione” lanciata a tutto tondo a carico della figura del segretario comunale di Pagani, dott.ssa Ivana Perongini. Ma cos’è la subornazione. Si tratta certamente di uno dei delitti più spregevoli che si possano commettere in danno della giustizia. La parola “subornare” è poco diffusa nel pubblico: significa in buona sostanza dare (o anche solo promettere) ad un “testimone” o ad una persona “informata sui fatti” denaro o qualsiasi altra utilità al fine di fargli deporre il falso. A tali fini è irrilevante -cioè non conta- che il teste sia sentito effettivamente dal Giudice, ma è sufficiente  sia ammesso a deporre, mentre non è necessario che egli  abbia accettato o meno la “proposta indecente”. Ovviamente la subornazione assume la dignità di “delitto spregevole” nel momento in cui essa viene conclamata come realmente consumata per sollecitare il teste a dire il falso e non per sollecitare la memoria del teste a ricordare la verità. Questo è un passaggio fondamentale in cui spesso, troppo spesso, si perdono anche i PM più agguerriti quando vanno testardamente alla ricerca solo delle prove a carico e non anche a discarico, così come imporrebbe loro la legge. Vi renderete conto da soli che su queste apparenti sottigliezze (indurre a dire il falso o sollecitare a ricordare la verità) nel tempo si sono scatenate battaglie giudiziarie invereconde che, purtroppo, hanno lasciato sul campo molte vittime, nell’uno e nell’altro caso. La delicatezza estrema dell’argomento ha animato, negli annali della giustizia, almeno due correnti di pensiero di segno opposto. Per parlarne in maniera compiuta bisogna ricorrere alle sentenze che, se non fanno legge, fanno almeno scuola. Ho rispolverato una vecchia e paludata sentenza istruttoria di proscioglimento (n. 198/83 del 24 ottobre 1983) emanata dall’allora capo dell’ufficio istruzione di Salerno dott. Lino Ceccarelli per demolire l’impianto accusatorio del pm Luciano Santoro che voleva l’arresto dell’indagato e dei testimoni subornati. Ho citato due monumenti della magistratura salernitana schierati l’uno contro l’altro. Il giudice Ceccarelli sottoscrive una sentenza di ben 17 pagine in un’epoca in cui i “proscioglimenti in istruttoria” si decidevano con pochissime righe (i giuristi e i pm studiosi lo ricorderanno!!), tanto era l’eco che stava suscitando quel processo. Ecco cosa scrive Ceccarelli: <<E’ ben evidente, quindi, che tra una deposizione e l’altra la memoria sia stata sollecitata; e non è da escludere che il sollecitatore –direttamente o indirettamente- sia stato il …… Ma non è questo il problema; il problema da risolvere non sta nello stabilire se i testi siano stati o meno sollecitati, ma sta nello stabilire se siano stati sollecitati a dire il vero o a dire il falso ….. non lo si può condannare se …. Li abbia sollecitati a ricordare come si erano svolti i fatti; li abbia, cioè, sollecitati a dire il vero … Sarebbe, invero, tropppo semplicistico affermare –ad imitazione di un noto showman specialista di quiz televisivi- che la “prima risposta è quella che conta”: l’accertamento della verità, in un processo penale, non segue gli stessi binari di un quiz televisivo. E avrebbe senz’altro facilitato il compito del giudice adottare un’altra soluzione, che pure l’ordinamento giuridico gli consentiva: il ricorso all’art.359 c.p.p.. Ma a parte la considerazione che, per procedere all’arresto dei testimoni per falsa testimonianza, si sarebbe dovuto avere la certezza che gli stessi avevano detto il vero nella prima deposizione e mentivano nella seconda, non è detto che, con una tale soluzione, si sarebbe raggiunta la verità … spesso i testi arrestati hanno si ritrattato, si ripete; ma non il falso, dicendo il vero, bensì il vero, dicendo il falso …>>. Una sentenza che fa scuola, non c’è che dire; una sentenza che è tuttora di grande attualità sebbene dal’83 siano intervenuti stravolgimenti, forse, innaturali del processo penale che è passato troppo velocemente da inquisitorio ed indiziario senza le necessarie garanzie per tutte le parti in causa, soprattutto per gli indagati. Prima c’era il pubblico dibattimento che avveniva realmente in aula, oggi il dibattimento si sviluppa sui media che, ripeto, si appiattiscono facilmente sulle posizioni dell’accusa perche fanno certamente più notizia. Ma, infine, perché la Procura di Salerno e l’Arma dei Carabinieri, dopo aver strombazzato per mesi e mesi sconvolgenti novità hanno ripiegato sull’accusa di “subornazione” a carico del segretario comunale? Per la risposta dovete solo avere pazienza ed attendere la prossima puntata.

 

 

 

 

 

 

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