Crisi, depressione, abbandono

Aldo Bianchini

SANT’ARSENIO – Crisi, depressione, abbandono. Tre parole, quasi sconosciute, meglio dire ostentatamente sconosciute, che hanno caratterizzato in passato e stanno segnando profondamente oggi i vari strati della società antica e moderna, fino a quella dei consumi. Tre parole che fanno paura, che incutono timore, che ognuno cerca in tutti i modi di non pronunciare, mai. Tre parole che comunque fanno parte della nostra storia, della nostra vita e delle nostre famiglie. Tre parole che, anche in maniera e forma separata e diversificata, si insinuano nei nostri cervelli e passando attraverso quella zona cranica tuttora assolutamente sconosciuta, la psiche, sono in grado di produrre danni devastanti ed incontrollabile a persone fisiche e ad intere famiglie. Il “male oscuro”, così veniva definita l’alterazione mentale che soltanto da pochi decenni è stata elevata al ruolo di “malattia”. Il male oscuro si insinua, insalutato e sgradito ospite, nelle famiglie in maniera subdola, quasi nascosto fino a costringere le stesse famiglie a nascondere il male e, in tantissimi casi, a nascondere chi ne è affetto, quasi come una vergogna da occultare, una cosa da non dire, una cosa di cui non parlare, una cosa che non fa parte della nostra vita, una cosa che punge e fa male, a tutti. I migliori scienziati, i migliori scrittori, i migliori filosofi hanno dissertato a lungo e per secoli, nascondendo anche loro quello che sembrava un male che veniva forse dall’aldilà. Le convenzioni sociali hanno sempre impedito sereni e pubblici dibattiti, gli stessi casi da studiare erano sempre troppo pochi, troppo nascosti, troppo intimamente personalizzati. Una prima svolta negli anni ’70 con la soppressione di quei miseri e inquietanti lager dove venivano letteralmente abbandonati e ammassati i soggetti affetti dal male oscuro che sconvolgeva la mente fino al parossismo assoluto. Si chiudevano le porte dei lager e si chiudevano le speranze dei prigionieri di una società che non voleva, non poteva o non sapeva confrontarsi con il male più antico dell’umanità. Sono stati fatti passi da gigante, ancora pochi, purtroppo. Ma ancora oggi il problema persiste e quando il male oscuro si insinua nella normale routine familiare sconvolge tutto, e tutti sono sempre disposti a chiudere subito il problema nel ristretto ambito delle mura domestiche, passando dall’isolamento totale fino ai drammi che sono sotto gli occhi di tutti. Anche la società non si oppone e fa finta di nulla, di non udire, di non vedere e di non sentire; passa e continua per la sua strada, chiude il problema o il dramma alle sue spalle, subito e senza ripensamenti. Di tutto questo se ne parlerà domenica 22 aprile 2012, dalle ore 18.30, nel teatro comunale di Sant’Arsenio dove terrà una “lectio magistralis” il professore Vincenzo De Leo, psichiatra. L’approfondimento verterà sui problemi, della società moderna e dei giovani, connessi ai disturbi della mente. L’evento ideato e organizzato dall’Associazione Montepruno-Giovani e patrocinato dal Circolo Banca Montepruno, dal Comune di Sant’Arsenio e dalla Banca di Credito Cooperativo Monte Pruno di Roscigno e di Laurino che da tempo si distingue per il raggiungimento di obiettivi specifici nell’ambito di problemi di nicchia molto significativi. La serata si concluderà con lo spettacolo teatrale dal titolo “Quem Quaeritis ? – Il caso Mastrogiovanni” a cura dell’attore-regista Giancarlo Guercio. Un lavoro da seguire con molta attenzione, un lavoro che si annuncia complesso e molto difficoltoso, soprattutto per la trasposizione teatrale del dramma di un uomo e di un personaggio, Francesco Mastrogiovanni, che ancora oggi è discusso e ricostruito nelle aule dei tribunali. Un lavoro difficile, dicevo, nel quale senza voler essere retorici il regista dovrà impegnarsi con tutte le sue forze attingendo fatti e misfatti anche dalla cronaca ancora viva e palpitante delle emozioni. Un lavoro difficile perché anche il personaggio Mastrogiovanni è stato un personaggio difficile e controverso. Un personaggio che ha scosso le coscienze di tutti, che è passato dalle ribellioni del ’68 agli scontri fisici tra destra e sinistra che portarono all’uccisione di Carlo Falvella, fino al punto di essere stato sottoposto a TSO (trattamento sanitario obbligatorio) nell’ospedale San Luca di Vallo della Lucania dove trovò la morte, legato su un letto di contenzioso, in quel maledetto giorno del 4 agosto 2009 dopo quattro giorni di torture (legato piedi e mani, senza acqua, senza cibo, senza medicinali, senza ….) per l’incuria di medici e paramedici sul cui operato dovrà essere fatta ancora chiarezza. Un personaggio che negli ultimi mesi della su vita era di peso a tutto il mondo della sinistra e non solo, tanto che fu proprio Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica, ucciso esattamente un anno dopo, a sottoscrivere il trattamento che lo portò in quell’ospedale. Assisterò con molta attenzione alla rappresentazione teatrale che già si annuncia davvero interessante, quasi una sfida contro il tempo per rendere omaggio ad un personaggio di profonda cultura che non c’è più.

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