Artide, ultima frontiera

 


Valerio Rossi Albertini
Fino a quando il limone non sarà spremuto fino all’ultima goccia, non troveremo pace.Sì, perchè le riserve naturali
sono considerate alla stregua di un succo da estrarre e, il mondo intero, di un frutto maturo da spolpare. La differenza è che, di solito, la buccia poi si getta senza troppi riguardi, mentre noi, su questa buccia rinsecchita, saremo condannati a vivere. O, piuttosto, ci saremo condannati a vivere…Grandi compagnie petrolifere si
stanno attrezzando per dare l’assalto definitivo all’ultimo baluardo incontaminato, il Polo Nord Sotto la calotta polare si stima che ci siano notevoli scorte di combustibili fossili, forse il 15% delle riserve planetarie di petrolio e il doppio di gas naturale. Altro non serve per scatenare gli appetiti funesti e a poco vale la considerazione che sarebbe come andare a depredare un santuario, anzi uno dei pochi rimasti.Anche in assenza di incidenti, il cantiere e poi la struttura di supporto delle trivelle e delle pompe di estrazione in condizioni di esercizio comportano uno sconvolgimentodell’ecosistema locale. Il valore della promessa che tutto verrà fatto nel pieno risp etto dell’ambiente e in ossequio ai parametri di sicurezza, può essere controllato nei campi estrattivi in funzione o, peggio, in quelli abbandonati perchè il giacimento si è esaurito. Guardate le foto aeree, ad esempio, ce ne sono parecchie in Internet. In molti casi, sono già una testimonianza eloquente di quelle garanzie…Tuttavia, il pericolo principale che incombe in ogni operazione estrattiva è quello di un incidente. Fino all’estate del 2010, si sarebbe potuto ribattere che si trattasse di un rischio
teorico e molto remoto. Ma quello che è accaduto nel Golfo del Messico alla piattaforma Deepwater Horizon obbliga gli scettici a riconsiderare le proprie posizioni. Per la prossimità geografica, il Golfo del Messico per gli Usa è quasi la piscina di casa, con tutto quello che implica. Da una parte, infatti, la piattaforma poteva facilmente essere tenuta sotto costante sorveglianza; dall’altra, avrebbe costituito una grave minaccia per le coste, in caso si fosse verificato un rilascio di greggio. Ebbene, la posizione favorevole e le precauzioni per il legittimo (ora possiamo ben dirlo) timore di disastro ambientale non sono bastate né a prevenire l’incidente, né a contenerne gli effetti.Chi, tra i miei 25 lettori,
sa ipotizzare cosa accadrebbe se si verificasse un incidente, anche di proporzioni molto minori, in Artide? Un ambiente ostile, distante da tutto,
poco controllato e controllabile, e che non conosciamo abbastanza per valutare le ripercussioni di uno sversamento ingente. Si può confidare che un intervento lento e inefficace nella piscina di casa sarebbe invece sollecito e risolutivo ai confini del mondo?Eppure io credo che non consisterebbe in questo il danno maggiore. Il danno maggiore sarebbe un altro: la dimostrazione che ancora ci ostiniamo a non capire! A non capire che questa strada verso un presunto sviluppo è, in realtà, un vicolo cieco.Ammettiamo che, memori dell’accaduto, prenderemo tutte le precauzioni per scongiurare ogni possibile incidente e che ci limiteremo a punzecchiare il Polo Nord con le trivelle, anziché masticarlo. Ammettiamo ancora (a solo beneficio della discussione), che tutto il greggio che contiene il Polo Nord nel suo grembo possa essere
felicemente estratto senza che un solo orso bianco o una foca artica vengano anche minimamente infastiditi dall’operazione. Avremo risolto il problema? No, avremo prolungato un altro po’ la nostra agonia petrolifera, strizzando un ultimo pezzetto di buccia per estrarne ancora qualche goccia di succo. E poi? Le sposteremo su Marte, le trivelle?…

 

 

 

 

 

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