“IO NON MI SENTO ITALIANO, MA PER FORTUNA O PURTROPPO LO SONO”

Da Alessia Fraiese

Roma , domenica 21 maggio ore 20:45, finale di Coppa Italia: al centro del campo la giovane cantante Arisa si esibisce cantando l’inno di Mameli mentre la sua voce viene coperta dai fischi; Ore 20:50, la giovane genovese abbandona il campo, triste, arrabbiata: l’hanno fischiata, però i fischi non erano indirizzati a lei, ma all’inno stesso. Verranno individuati di lì a poco i colpevoli, sono stati i tifosi napoletani tra i più accaniti nel contestare l’inno nazionale. Tutti, indignati, hanno voluto infangare ancora una volta il nome del popolo napoletano,  della Campania e del sud,  definendolo ancora una volta, volgare,  irrispettoso e terrone, multando la società del Napoli, e così facendo, spostando, senza che nessuno se ne accorgesse, il vero problema: perché hanno fischiato l’inno di Mameli ? “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”, così cantava il compianto Giorgio Gaber in una sua celebre canzone,  dove affermava “questa nostra Patria non so cosa sia”, oppure si domandava perché  “Il grido Italia Italia c’è solo alle partite”. La contestazione dell’inno ha radici più profonde, figlia di cattiva politica, giustizia e magistratura. Voglio citare un altro celebre, Giuseppe Garibaldi che, durante la spedizione dei mille a Calatafimi, disse: “Qui o si fa l’Italia o si muore”, o magari Carlo Pisacane che al suo sbarco a Sapri rivolgendosi ad una ragazza del posto che gli chiese perche facesse tutto ciò, disse: “O mia sorella vado a morire per la mia Patria bella”. Fratelli d’Italia… Fratelli di chi? mi verrebbe da dire: ci abbracciamo forte e ci sentiamo italiani se la Nazionale vince i Mondiali o magari quando si muore. Lunedì, sui giornali nazionali tra le notizie relative alla partita di Coppa Italia vinta dai partenopei, campeggiava quella sullo scandalo dei fischi incorniciata dalle dichiarazioni indignate del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato, delle autorità costituite. “E’ sconvolgente –ha detto Schifani –  è inaccettabile”. Chissà perché Schifani (che era siciliano…) non riesce a capire. O chissà se finge di non capire. Perché mai i meridionali dovrebbero amare l’Inno di Mameli? Perché dovrebbero sentirsi romanticamente rapiti dalla retorica nazionale di uno Stato che sin dal primo momento del suo esistere si è divisa in due: al Nord la ricchezza e il potere, al Sud il lavoro duro, lo sfruttamento, l’emigrazione, la povertà. Una storia iniziata 150 anni fa e che continua a ripetersi:  le persone continuano a morire per l’Italia. Ultimi che mi vengono in mente sono i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, assassinati dalla Mafia perché volevano liberare il Paese dallo straniero, dalla metastasi che aveva intaccato tutti i tessuti della società. Loro avevano avuto il coraggio di alzare la voce contro il terrore, ma poi sappiamo come andata a finire. Fabrizio Moro, altro siciliano, nella sua canzone “Pensa” ha scritto: “Ci sono stati uomini che sono morti giovani, ma consapevoli che le loro idee sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole. Intatte e reali come piccoli miracoli. Idee di uguaglianza idee di educazione. Contro ogni uomo che eserciti oppressione. Contro ogni suo simile,  contro chi è più debole, contro chi sotterra la coscienza nel cemento”. Ci sono stati uomini che hanno dato la vita, appunto, per l’Italia e c’e chi ancora oggi la vorrebbe dividere, chi sta ancora a fare le differenze tra nord e sud.  C’è un partito che ha avuto il coraggio di dire, ironicamente ( ma non so cosa ci sia di ironico), che il terremoto a Ferrara è segno che anche la Padania si vuole staccare, che si scusava per il disagio e che la prossima volta avrebbe fatto più piano. Per non apparire troppo cinici, potrei citare infine un ultimo personaggio buono del nostro paese, al quale però,  stranamente, qualcuno sta provando a tappargli la bocca e qualcun altro lo consente. Sto parlando dello scrittore del libro “Gomorra”, Roberto Saviano,  colpevole di aver scritto un libro, di aver parlato di una cosa vera, della quale, però, forse, in Italia non siamo ancora pronti a parlare, ad ascoltarla davvero. Lo scrittore napoletano, vittima delle sue idee,  vive ormai come un recluso (così come ha specificato più volte in varie interviste) e c’è qualcuno che dice che è colpa sua se è costretto a vivere sotto scorta, se non ha più una vita sua, una casa, se non può innamorarsi o magari prendere il sole su una spiaggia mentre beve una birra, se non può vedere gli amici o magari la sua mamma… è colpa sua, se l’è cercata ficcando il naso dove non doveva. La maggior parte delle persone intelligenti, ora  in Italia, ha già appoggiato la causa di Saviano, ma purtroppo non si può parlare di un ex equo un po’ per ignoranza o, perché no, anche per paura, ma forse tra venti anni ( e spero di no con tutto il cuore) celebreremo in maniera memorabile la morte di questo grande scrittore ( perché, spesso, abbiamo l’abitudine di celebrare la morte e non la vita) che aveva denunciato il fatto che la Camorra, come la Mafia venti anni fa, è impregnata in tutti i tessuti della società e dello Stato. Magari  faremo una finale di Coppa Italia, fischieremo nuovamente l’inno nazionale, multeremo la società per la vigliaccata, e ci chiederemo di nuovo il perché. Ma in fondo “le persone passano, le idee restano”… magari, caro Giovanni Falcone, fosse davvero così….

 

 

 

 

2 thoughts on ““IO NON MI SENTO ITALIANO, MA PER FORTUNA O PURTROPPO LO SONO”

  1. Per tutti gli episodi in cui le tifoserie si sono comportate male…

    Perché fischiano? Perché lanciano motorini dagli stadi? Perché cantano insulti razzisti? Perché tirano coltellate? Perché imbrattano muri?
    Perché?
    I motivi sono molti e variegati, sicuramente sono dei gran maleducati, per usare un eufemismo! (non credo c’entri molto l’inno con il motivo del fischiare)…

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